L’uomo non è stato certamente fortunato, dato che finora ha dovuto tenere discorsi esclusivamente online, da casa o da aule semivuote. L’arrivo di Sir Keir Starmer alla guida del partito laburista è difatti coinciso con l’infuriare della pandemia influenzale, che nel Regno Unito ha mietuto quasi 127mila morti. A un anno dalla sua nomina però gli osservatori ritengono unanimamente che la sua opposizione “ragionevole” con toni pacati e posizioni sfumate, costellate più dall’astensione ad alcune importanti votazioni piuttosto che da un confronto frontale con Boris Johnson, lo abbiano reso inefficace davanti all’esuberanza populista del Primo ministro britannico. L’impressione che si trae è che Starmer, per quanto competente (giurista stimato è stato per anni procuratore capo della Corona) non sia mai riuscito ad assestare un colpo deciso che abbia danneggiato il rivale.
Starmer ha avuto dall’inizio problemi di sincronizzazione col tempo in cui operava. Ha dovuto nuotare subito controcorrente in una situazione di emergenza nazionale. Ha ereditato un partito diviso, con un leader in uscita, Jeremy Corbyn, che aveva creato forti risentimenti ma anche grandi passioni. Molti giovani infatti avevano abbracciato la causa corbiniana dopo la fase del New Labour di Tony Blair e Gordon Brown che una parte del partito non ha mai digerito perché troppo filo-capitalista. La crisi finanziaria e il peggioramento del tenore di vita delle classi lavoratrici ha creato le condizioni per un revanscismo di sinistra, sfociato in un leader paleo-socialista con un’ideologia anni ’70. Dopo la popolarità iniziale, Corbyn ha perso consenso per avere spostato il Labour troppo a sinistra, fino a diventare ineleggibile dalla maggioranza degli inglesi e subire nel 2019 una delle peggiori batoste elettorali del dopoguerra. Starmer ha dovuto prendere in mano il partito in un momento in cui si trovava diviso e lacerato, oltre che criticato, per avere preso posizioni da sinistra arcaica, con un anti-sionismo sfociato in anti-semitismo. Corbyn inoltre, non ha mai creduto nella UE, criticandola dal fronte opposto dei conservatori che la vedevano statalista e dirigista. Ed è stato ambiguo sulla Brexit. Il leader laburista vedeva infatti la UE come uno strumento capitalista e non a caso, ai tempi, aveva votato conto l’ingresso in quello che era il Mercato comune europeo.. In piena pandemia Starmer, il magistrato divenuto leader, ha dovuto purgare il partito dagli estremisti, silurare i dirigenti corbiniani e cercare rapidamente di mettere la prua più verso il centro per recuperare il terreno perduto.
Inizialmente la formula ha funzionato. Con i suoi toni pacati e una retorica convincente da magistrato Starmer era riuscito a mettere all’angolo Johnson, approssimativo e arruffone, mentre lievitava a dismisura il numero delle vittime a causa di una serie di ritardi e decisioni sbagliate del Governo. La sua convinzione era che un’opposizione responsabile, competente e pacata alla lunga avrebbe messo a nudo il populismo pasticcione di Johnson. La strategia non ha però funzionato. Johnson, sull’onda della travolgente campagna di vaccini, è riuscito a offuscare tutte le sue manchevolezze passate. Al punto di permettersi ormai di prendere in giro Starmer dandogli dell’oppositore ipotetico su tutto quello che avrebbe dovuto essere fatto, mentre il premier ha venduto l’immagine di chi, per quanto fallibile, è rimasto saldo al comando del vascello britannico fino a ridargli una rotta. “Noi vacciniamo e voi vacillate” ha detto recentemente Boris in una delle sue celebri battute.
Un altro problema di fondo, è che in tempi di emergenza come questi, il Governo Johnson è stato costretto a prendere una serie di misure stataliste e dirigiste che hanno eroso enormemente il terreno in cui normalmente opera la sinistra tradizionale. Per questo motivo Starmer si è trovato spesso nella posizione di astenersi piuttosto che votare contro perché difficilmente avrebbe potuto adottare una formula diversa. Così, dopo avere recuperato terreno nei primi mesi fino a superare i Tory nei sondaggi, oggi il labour di Starmer si trova 10% al di sotto dei rivali al Governo nel gradimento dell’elettorato. In tempi di emergenza è un divario difficile da recuperare dato che, come Johnson ben sa, davanti a una grave crisi, la gente tiene l’attenzione su chi sta operando per uscirne piuttosto che chi critica o suggerisce vie d’uscita.
Così, malgrado gli errori del Governo Johnson, gli sprechi di danaro pubblico in una serie di tentativi per creare test anti-Covid efficienti, accuse di corruzione per appalti passati ad amici del Governo in modo poco trasparente, le accuse al premier di spese faraoniche per ristrutturare l’appartamento a Downing Street, lo scandalo con l’amante Jennifer Arcuri a cui avrebbe riservato trattamenti di favore quando era sindaco di Londra, per non parlare dei guai economici supplementrari procurati dalla Brexit, Starmer non è riuscito veramente a mordere i malleoli di Boris. Già da subito, per mostrare la sua ragionevolezza, aveva detto che accettava in pieno la Brexit così come negoziata dal Governo. E in economia, tranne qualche mossa di lobbying in favore di una cassa integrazione più lunga per le classi più deboli o la richiesta di mantenere i buoni pasto per i piú vulnerabili anche a scuole chiuse nessuno ricorda una visione alternativa del mondo proposta da Starmer che possa ispirare i giovani verso il futuro. Quello che manca a Starmer, in mancanza di una opposizione efficace e vibrante, è infatti una visione che ispiri la gente verso un futuro diverso da quello che i Tory stanno costruendo nei fatti in modo abborracciato, senza un disegno coerente. Fino ad allora, in mancanza di alternative serie, Boris il manovratore non potrà essere disturbato.