La pericolosa scarpata del “vaccinazionalismo”

La UE non poteva fare peggio. Per quanto rientrata rapidamente, la minaccia di Bruxelles di bloccare le esportazioni dei vaccini dalla UE al Regno Unito attraverso la porta del Nordirlanda è stata una delle mosse più avventate e inopportune che si potessero compiere. In un sol colpo la Commissione europea è infatti riuscita a demolire il capitale di rispettabilità che si era guadagnata negli ultimi 4 anni nell’opinione pubblica pro-europea britannica oltre che mondiale, alimentando un’ondata di orgoglio nazionalista, peraltro abilmente sfruttato dal Governo Johnson, alla disperata ricerca di consensi di fronte all’ondata di decessi in corso, che hanno superato al 31 gennaio 106mila unità,  il d0ppio dei 53mila morti raggiunti nel 18 novembre 2020, a 11 mesi dallo scoppio della pandemia.

Bruxelles, che aveva venduto un’immagine di tolleranza di fronte alle intemperanze di Londra, che si era fatta paladina dei diritti degli irlandesi, sostenendo un accordo che tenesse aperta la delicata frontiera tra le due Irlande, è riuscita inoltre a mettere in gravissimo imbarazzo il Governo di Dublino e a dare prova di meschinità e egoismo in un sol colpo, contraddicendo l’immagine di paladina della solidarietà sociale che voleva far passare rispetto all’egoismo populista impersonato dal Governo Johnson. Questo, da un paio di mesi, a fronte di un’incapacità conclamata di gestire la pandemia con le armi della politica, a causa di una serie di misure prese regolarmente in ritardo e timidamente, rispetto alle richieste drastiche delle autorità sanitarie nazionali, ha puntato tutte le  carte della riscossa sull’efficacia dei vaccini, avviando un programma di immunizzazione di massa. A difesa del Governo britannico, va anche detto che la strategia del vaccino ha radici lontane, già risalenti alla tarda primavera dello scorso anno, quando Londra ha puntato sul sostegno finanziario dello sforzo alla ricerca dei laboratori dell’Università di Oxford oltre che di sostegno alla produzione di altri vaccini americani. E all’allestimento di uno sforzo logistico che sta dando i propri frutti. Ciò ha contrastato con i ritardi della UE nel prendere decisioni che hanno portato a un ritardo degli approvvigionamenti in Europa. Il che ha reso sempre più nervosa Bruxelles, fino a farle perdere la testa con una decisione avventata. Un atto apparso di stizza e rappresaglia a fronte del sospetto che la società farmaceutica anglo-svedese Astra Zeneca avesse privilegiato a rifornire di vaccini il Regno Unito rispetto al resto d’Europa. Davanti all’ammissione di Astra Zeneca di non essere in grado di ottemperare alle proprie promesse contrattuali con la UE a causa di carenze produttive, Bruxelles, che aveva peraltro concluso un contratto con mesi di ritardo su Londra, ha perso la testa calando la scure del blocco dell’export.

Non si poteva fare di peggio. Il Governo Johnson ha dipinto l’accaduto come l’esemplificazione del successo della Brexit che, liberando Londra dai lacci burocratici di Bruxelles, ha permesso agli inglesi di approvare i vaccini rapidamente, oltre che prepararsi a produrli in anticipo rispetto al continente europeo. Nel momento in cui il mondo dovrebbe imboccare la strada della solidarietà, Londra e Bruxelles si affacciano su una scarpata pericolosa. Il nazionalismo dei vaccini rischia infatti diventare l’aspetto più demenziale di un populismo che, dopo avere voltato le spalle alla scienza, peggiorando gli effetti della pandemia, cerca ora una via nazionale all’uscita dalla crisi quando non esiste niente di più globale di un’epidemia nella sua manifestazione e non c’è altra soluzione alla sua soppressione se non con una risposta globale e solidale. Finché infatti esisterà un focolaio di Covid nel mondo o si svilupperà una nuova variante, nessuno potrà dirsi definitivamente al sicuro. Ciò che viene apparentemente cacciato dalla porta rientrerà dalla finestra. Le diatribe ideologiche della Brexit non devono intossicare ulteriormente il clima contagioso della pandemia.