La narrativa della Brexit diventa truculenta

Constato con rammarico che l’allineamento dei pianeti che sta portando a una sempre più visibile eclisse della ragione in Occidente procede inesorabile. Uno degli epicentri si sta rivelando proprio il Regno Unito, cuore dell’illuminismo, del pensiero scientifico e analitico, del sangue freddo e della calma, della santificazione dei fatti osservati sulle opinioni, della verifica e controverifica impersonata da personaggi come l’ineffabile Scherlock Holmes, delle grandi università scientifiche, del relativismo e delle sfumature. La narrativa della Brexit ha ormai acceso gli animi a livelli di guardia, con crescenti insulti verbali, minacce fisiche e conseguenti interventi della polizia per tamponare la situazione. L’argomentazione politica, giunta a livelli incandescenti,  sta cedendo il passo all’insulto personale, una soglia a cui in Italia siamo abituati, ma che in questo Paese era ancora inconcepibile qualche mese fa al di fuori dei pub o dei quartieri malfamati di Londra.

Boris Johnson, davanti a tutti, nell’ultima settimana è stato richiamato a più riprese a moderare il linguaggio, ritenuto infiammatorio. Il primo ministro sta infatti usando in modo crescente toni bellici come “resa all’Europa” o “tradimento”, ha affermato che il modo migliore di ricordare Jo Cox, la parlamentare laburista anti-Brexit uccisa a coltellate da un’estremista di destra nel 2016, è di fare passare rapidamente la Brexit per evitare ulteriori violenze.  Un monito che molti hanno visto come una minaccia ad adeguarsi alla sua linea. Ha infine liquidato come “ipocrite” alcune parlamentari che gli hanno detto di essere oggetto reale di crescenti minacce fisiche.  Nigel Farage, apostolo della Brexit, è stato segnalato alla polizia per avere detto a una riunione di militanti di voler “metter mano al coltello” di fronte ai burocrati che remano contro sostenendo che il Paese non è pronto a lasciare la UE, salvo poi recuperare, dicendo che intendeva la “scure” per ridurre il personale pubblico.

Davanti a un barrage di proteste a cui si sono unite la stessa sorella di Boris, Rachel, e una ex amica e collega di partito (che ha lasciato il ministero del Welfare per protesta) come Amber Rudd che lo hanno caldamente esortato a moderare i toni,  Johnson ha motivato il proprio comportamento dicendo che un linguaggio colorito e appassionato fa parte del gioco politico. Il problema è che contrariamente ai Paesi latini, dove l’insulto e la baruffa verbale sono relativamente inoffensivi e fanno parte del carattere nazionale, in un Paese “freddo” come il Regno Unito c’è più da preoccuparsi. L’ascesa dei toni dei pro-brexit, che si sentono frustrati e accusano le elite e l’establishment di cercare di scippare loro il risultato referendario, non poteva non iniziare a scaldare gli animi, non solo tra i pro-brexit, ma ora anche sul fronte opposto. A Manchester, dove questo week-end si tiene l’assise del Congresso conservatore, è stato rimosso stamane da un cavalcavia un enorme striscione con la scritta “I Tory hanno ucciso 130.000 persone. Tempo di pareggiare i conti”.

*Chi semina vento raccoglie tempesta” dice il detto e la linea truculenta di Johnson, che cerca di contenere il Brexit Party populista di Farage, rubandogli l’iniziativa con un crescendo di toni incendiari, a misura che riesce nell’intento (Farage sarebbe sceso attorno all’11% nei sondaggi  contro un 30% abbondante dei Tory) sta polarizzando ancor più il Paese, alla faccia delle proclamate intenzioni di Johnson di unificare la nazione.  La linea dura di fare passare la Brexit a ogni costo, per il bene di tutti, per evitare conseguenze peggiori, facendo leva sulla crescente impazienza del proprio elettorato conservatore, è un espediente pericoloso. Oltre che ipocrita. Vale infatti la pena di ricordare come stanno i fatti, ossia che Theresa May un accordo con Bruxelles lo aveva raggiunto, ma questo è stato silurato non solo dagli oppositori laburisti e liberaldemocratici, che lo volevano più favorevole alla Ue, ma da parte della destra Tory che voleva un taglio netto. Quel taglio che, ora che sono al potere, stanno cercando di perseguire, a costo di una no deal brexit  economicamente dannosa che rischia, in caso si avverasse, di infiammare la metà  del paese che si è opposta al referendum.

Secondo gli osservatori più allarmisti, il Governo Johnson, davanti al rischio di rinviare la scadenza del 31 ottobre, dato che il Parlamento ha legiferato contro una no deal Brexit , potrebbe come ultima istanza approfittare di violenze e disordini per proclamare uno stato di emergenza e sospendere il dibattito parlamentare e passare la Brexit scavalcando la fatidica data del 31 ottobre per cause di forza maggiore. Sarebbe uno scenario inquietante, ma è effettivamente un’ipotesi plausibile, dato che la legge Benn, chiamata da Johnson la “legge della resa” è, a detta della massima parte dei giuristi, blindata. Questa obbliga il Governo a procastinare a fine gennaio 2020 la Brexit in caso di una mancata intesa con Bruxelles al prossimo summit UE. Johnson si è detto sicuro di raggiungere un buon accordo ora di allora, mettendo in chiaro che non sarà più quello della May ma uno nuovo di zecca. Dati i tempi brevi, le indicazioni che vengono da Bruxelles secondo cui Londra non ha presentato nulla di concreto, i bluff continui di Johnson e le sue mosse a sorpresa, la situazione mi pare tutto fuorché prevedibile. Su questa vicenda della Brexit, infatti, al di là di toni e proclami, nessuno è in grado di esercitare un vero controllo e inevitabilmente il dibattito, dal Palazzo e le istituzioni, rischia sempre più di scivolare nelle strade.