Se c’era ancora un dubbio sui danni che una hard Brexit , ossia un’uscita dalla UE senza un accordo, potrebbe causare all’economia britannica, questo e’ stato dissipato nelle ultime 24 ore, quando sono emersi i dettagli, richiesti da una ingiunzione del Parlamento, di un documento preparato dallo stesso Governo il 2 agosto, 9 giorni dopo la nomina di Boris Johnson a premier, da cui emergono non solo forti costi materiali ma anche umani causati da una uscita brusca dalla UE. Secondo il documento, denominato Operazione Yellow Hammer (letteralmente: martello giallo), il Governo descrive una situazione definita “lo scenario ragionevolmente peggiore” in cui si verrebbe a trovare il Paese in caso di uscita dalla UE dal giorno alla notte. A farne le spese sarebbero specialmente il settore alimentare e farmaceutico che si troverebbero a fare fronte a emergenze reali: nel primo caso una netta riduzione di cibo fresco, e in alcuni scenari (che colpirebbero qualche centinaio di migliaia di persone peraltro) anche di acqua potabile. Nel secondo caso carenze di medicinali che potrebbero scarseggiare anche per un periodo prolungato. Un numero sensibile di aziende legate al settore di import export potrebbe essere costretto a chiudere i battenti. Le interruzioni e perturbazioni dell’attività economica, secondo il documento, potrebbero durare almeno sei mesi e causare malessere sociale, con manifestazioni e contro-manifestazioni e blocchi stradali che metterebbero a dura prova le forze dell’ordine pubblico. In una situazione così tormentata, secondo il documento, aumenterebbe inevitabilmente il contrabbando e si rischierebbero scontri tra pescatori UK e UE e in particolare l’Irlanda del Nord potrebbe essere la principale vittima di tensioni doganali dato il rischio di una frontiera fisica.
Il Governo ha cercato ieri di minimizzare, mentre il responsabile-ombra laburista delle politiche Brexit, Keir Starmer ha accusato il Governo di “disonestà” e “irresponsabilità” per avere nascosto alla opinione pubblica queste informazioni estremamente delicate. D’altronde credo che nessuno, compresi gli stessi fautori della Brexit, contesti il fatto, sostenuto da oltre il 90% degli esperti, che la Brexit nuocerà all’economia del Paese. Tutto sta capire quanto e, in particolare, quanto a lungo, dato che è sul lungo termine che divergono le interpretazioni delle due chiese ideologiche. Secondo i fautori dalla Brexit fra qualche anno sara’ tutto rose e fiori, mentre secondo i remainer il Paese subirà un danno permanente che ridurrà la prosperità del Paese.
D’altronde quella vicenda che è cominciata con una disinvolta e avventata scommessa di David Cameron ed è uscita oggi di controllo, pone un dilemma insolubile su cui si è chiamati a scegliere. Da un lato onorare il risultato del referendum del giugno 2016 a costo di danneggiare seriamente l’economia del Paese ma salvare la fiducia nel sistema politico o d’altra parte salvare l’economia ma creare una ferita profonda nel corpo del Paese, sfiducia nelle istituzioni e rischio di disordini sociali. Dalla ostinata opposizione mostrata da molti remainer e dalla resistenza passiva di molti parlamentari, oltre che dalla ribellione nella stessa casa dei conservatori, un’implementazione del risultato della Brexit non calmerà però i remainer, specialmente coloro che saranno danneggiati e alzeranno la voce, ma almeno seguirebbe il naturale iter democratico e non si presterebbe a contestazioni che comunque avverrebbero in caso si facesse un nuovo referendum che verrebbe vinto di misura questa volta dai remainer.
Insomma, la situazione è ormai così incandescente che si deve scegliere tra salvare le istituzioni democratiche o l’economia e in questo caso potrebbe rivelarsi più saggio seguire la prima strada. Boris Johnson in questo ambito sta tirando dritto mantenendo il parlamento sospeso, promettendo in cambio di impegnarsi a presentare un nuovo accordo con Bruxelles. L’enfasi sull’accordo a Downing Street sta crescendo e l’impressione che si sta cogliendo è che forse si potrebbe trovare una soluzione al nodo della frontiera del Nord Irlanda grazie a un ammorbidimento degli unionisti dell’Ulster che si stanno rendendo conto che la loro cocciutaggine potrebbe portare tutti alla rovina. Boris Johnson da istrione quale è potrebbe agitare le carte come un prestidigitatore e presentare un nuovo grande accordo, anche se poco cambiato rispetto a quello della May, pur di chiudere la partita. Nell’opinione pubblica ormai cresce l’impazienza di farla finita una volta per tutte e Johnson potrebbe emergere come l’uomo del destino. A questo punto potrebbe indire elezioni e sulla scia del successo dell’accordo potrebbe fare il pieno di voti. La stessa UE ha ormai tutto l’interesse di mettere alle spalle il caso britannico, che porterebbe grane nuove anche nel caso improbabile in cui un referendum venisse votato e vinto dai remainer. Un Paese membro diviso e tormentato resterebbe altamente infettivo e poco gestibile. Meglio lasciarlo in quarantena per un poco di anni a mollo tra le acque dell’Atlantico.