Londra, da capitale d’Europa a capitale d’Inghilterra?

In attesa dello showdown sul voto in Parlamento sull’accordo raggiunto da Theresa May con la UE, una triste riflessione va fatta già da ora. Gli effetti di una Brexit preannunciata hanno già causato danni irreversibili all’economia e alla società britannica, comunque vadano le cose. A soffrire di più sarà d’altronde proprio Londra, che sul cosmopolitismo e l’apertura al mondo aveva costruito le basi del proprio successo, diventando la capitale virtuale d’Europa. Il rischio è che, nel peggiore scenario, Londra si riduca al ruolo di capitale d’Inghilterra, laddove nel medio- lungo termine Scozia e Nord Irlanda si staccheranno dal Regno Unito.

Per spiegare la situazione di irreversibile peggioramento, partiamo dallo scenario più cupo, ossia quello di una Brexit brutale, che avverrà dal giorno alla notte del prossimo 29 marzo nel caso di mancanza di un voto del Parlamento britannico favorevole all’accordo con Bruxelles. Su quello scenario di  no deal Brexit, come lo chiamano qui, la Banca d’Inghilterra ha messo in chiaro due giorni fa che le conseguenze sarebbero catastrofiche, con la crisi peggiore per l’economia del Paese dalla Seconda Guerra mondiale, una tragedia economica non dissimile dalla Grande Depressione del 1929-33. Oltre metà delle aziende britanniche non hanno infatti effettuato piani di emergenza e rischierebbero di perire, il rischio di un congestionamento alle frontiere avrebbe danni devastanti sui rifornimenti di generi di prima necessità, il Paese si troverebbe per anni a pedalare in salita per recuperare e concludere nuovi accordi commerciali con la UE e il resto del mondo da una situazione di debolezza, data la piccola taglia del Paese rispetto ai grandi blocchi commerciali. Secondo uno studio recente del Tesoro britannico, una  no deal Brexit danneggerebbe l’economia britannica fortemente. Tra 15 anni sarebbe infatti inferiore di quasi il 10% (9,3% per l’esattezza) rispetto alla taglia che avrebbe avuto se fosse rimasta nella UE.

Se passasse l’accordo della May, i danni sarebbero più contenuti, nel senso che, con l’accordo di compromesso del Primo Ministro, il ridimensionamento dell’economia sarebbe solo del 4%. Magra soddisfazione. Lo stesso Cancelliere (ministro del Tesoro) Philip Hammond, messo alle strette durante un’intervista, ha ammesso che, sul piano economico, qualsiasi sia l’accordo concluso con Bruxelles, il Paese si troverà peggio rispetto a come si troverebbe se fosse rimasto nella UE. La stessa May ha sempre sorvolato sul tema dicendo che, quello che conta, è che gli inglesi hanno voluto ciò che volevano, ossia controllo alle proprie frontiere contro l’immigrazione, controllo delle proprie acque territoriali per la pesca (la cui industria ha un peso irrilevante sull’economia complessiva) e sganciamento totale dai progetti di crescente integrazione politica della UE.

Infine, seppure lo scenario più roseo passasse, ossia si finisse per indire un secondo referendum come molti vogliono e la conclusione fosse che gli inglesi questa volta voltassero le spalle alla Brexit decidendo di restare nella UE, non torneremmo più nella vantaggiosa situazione precedente. Londra, tornando a Canossa, si troverebbe infatti con un potere contrattuale più debole verso Bruxelles. I fautori della Brexit serberebbero anni di rancore, perché considererebbero che la precedente vittoria sarebbe loro strappata in modo truffaldino. I danni derivati da due anni di ridimensionamento della sterlina su euro e dollaro avrebbero lasciato il segno. Peggio di tutto, gli europei che hanno deciso di lasciare il Paese, molto probabilmente non tornerebbero più, lasciando vuoti pericolosi nell’economia del Paese in settori ad alta professionalità che la migrazione dal resto del mondo difficilmente potrebbe coprire. Gli ultimi dati sulla immigrazione mostrano che negli ultimi 12 mesi conclusi a fine giugno, l’immigrazione UE ha registrato il minimo da 6 anni, ossia da quando i flussi provenienti dall’Europa avevano iniziato a salire fortemente. Il saldo netto degli immigrati europei rimane positivo (tra arrivati e partiti) ma è sceso a 74.000 rispetto al picco di 189.000 raggiunto nel giugno del 2016. Per contro è boom di immigrati extra-comunitari che, dai circa 190.000 del 2016, sono ora saliti a 248.000. A prima vista parrebbe una buona notizia per i promotori di un blocco all’immigrazione UE a favore degli immigrati dal resto del mondo. Il ragionamento degli eurofobi è che, a causa della libera circolazione entro la UE, in UK arrivano anche le scartine dal continente, mentre al loro posto potrebbero venire persone più adatte da altri Paesi, specie del Commonwealth. La verità è che gli europei coprivano posizioni che altri immigrati non sono in grado di coprire. E ora sono rimasti scoperti numerosi posti di lavoro in settori come sanità, ristorazione, agricoltura e accademia. Per l’economia britannica si tratta di un grave danno che sarà lungo e difficile da riparare. Per non parlare di numerose aziende che per premunirsi dalle conseguenze negative della Brexit hanno già iniziato a spostare personale in altri Paesi UE.

Londra aveva tratto il massimo dei vantaggi dalla globalizzazione. In una società aperta con un mercato UE unico e profondo, la capitale britannica si era specializzata entro l’Europa come centro dei settori del futuro, dalla finanza passando per l’accademia, il design, la musica, i media, l’industria creativa, la moda, il mercato dell’arte. Il contributo degli affluenti europei, sia dal lato dell’offerta sia della domanda, aveva fatto di Londra un posto unico come internazionalità, una città-mondo, ben diversa da New York o Parigi che, per quanto molto internazionali, restano essenzialmente città americane o francesi rispettivamente. Certo, Londra, con le sue mille specialità e una forza economica ancora formidabile, soffrirà molto meno di regioni povere come il Nord e Nord’Est dell’Inghilterra, che dalla Brexit prenderanno la batosta peggiore. Ma il danno alla capitale va misurato in termini relativi, ossia quello che era e stava diventando e quello che ora è destinata a diventare. Siamo lontani dal collasso o dal tracollo, intendiamoci. Ma è un fatto, come un osservatore faceva notare, che la capitale si sta sgonfiando lentamente come uno pneumatico forato. Speriamo di non vedere mai il giorno in cui la gomma sarà completamente a terra.

 

 

  • Alessandro |

    Cameron aveva strappato concessioni vantaggiose (e inique rispetto agli altri paesi) dalla UE prima del referendum, e gli elettori hanno preferito lo stesso votare Leave. Che ora ne paghino le conseguenze, soprattutto quelli del Nord.

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