L’immigrato da cui i regimi populisti di destra vogliono difendersi è sempre più una categoria dell’anima, che poco ha a che vedere con la razionalità e la logica economica. Se nell’Italia di Matteo Salvini o nell’Ungheria di Viktor Orban l’invasore ha la pelle scura, con i connotati dell’africano e del medio-orientale, nel Regno Unito di Theresa May, a cui lo stesso Salvini fa frequentemente l’occhiolino, l’indesiderato intruso ha i connotati del bianco europeo di ceppo caucasico. E’ un paradosso grottesco, ma si adatta benissimo a questo mondo che da qualche anno pare funzionare alla rovescia.
Il Governo conservatore, che da dieci anni ha promesso di contenere l’immigrazione entro le centomila unità nette annue (con la May responsabile, prima in veste di ministro dell’Interno e poi di Primo ministro) continua a combattere sul fronte delle 300 mila unità nette. Mentre il totale era composto, tra il 2013 e il 2016, anni del picco degli arrivi, da circa 180mila cittadini UE e altrettanti extraeuropei, a cui vanno sottratti circa 50mila britannici che fuoriuscivano ogni anno, dopo la Brexit si è registrato un fenomeno interessante: se guardiamo infatti ai dati del 2017, il saldo netto degli europei si è quasi dimezzato a 100mila unità, mentre gli extraeuropei sono aumentati a quasi 220mila, ferma restando la fuoruscita di 50mila britannici l’anno. Sentendosi evidentemente indesiderati, gli europei hanno iniziato a fare le valigie e lasciare il Paese. Il che pare in fondo comprensibile, dato che, ancora ieri, il Governo May ha messo in chiaro che dopo la Brexit gli europei verranno considerati come qualsiasi altro cittadino del mondo e l’immigrazione seguirà esclusivamente un sistema meritocratico, secondo le capacità del candidato. Il Governo ha anche deciso di togliere il tetto di 21.000 individui che aveva imposto agli extraeuropei altamente professionali per compensare ai tempi le ondate di europei che fluivano nel Regno Unito. Insomma, meno europei accolti soltanto in quanto tali e più extraeuropei che meritano perché qualificati.
Il problema degli ultimi anni, caratterizzati da una crescente immigrazione dall’Est (specie Polonia, Romania e in parte minore Bulgaria) per gli inglesi è stato di vedere arrivare legioni di europei che hanno preso, in particolare, lavori non specializzati (come nell’agricoltura e settore ristorazione e alberghiero). Con il nuovo sistema meritocratico Londra vuole evidentemente porre un freno alla mano d’opera europea non qualificata e avere le mani libere di scegliere chi vuole. Questa scelta à la carte dell’immigrazione, a prima vista comprensibile sul piano logico per un Paese che voglia rendere più efficiente la propria economia, ha degli aspetti poco opportuni sul piano umano, oltre che irragionevoli sul piano economico. Sul primo fronte, ossia del fondamento morale della scelta, Londra pare prediligere l’efficientismo darwiniano a scapito del solidarismo cristiano su cui si basa la UE e che fa sì che la libera circolazione si applichi non solo a tutti i cittadini dell’Unione, indipendentemente dalle loro capacità, ma, per trattato, anche a quelli della EEA come Svizzera, Norvegia e Islanda. Insomma, la UE è un grande ventre che tutti accoglie, così come avviene all’interno di una nazione, che bada a tutti i propri figli, indipendentemente dai loro talenti. Londra, evidentemente, di accogliere i “fratelli” europei era contenta solo fino a un certo punto. Il secondo aspetto, quello dell’opportunità diplomatica, non è meno importante: a Londra conviene tenere buoni rapporti futuri con la UE e non trattare in futuro i vicini europei come cittadini di altri continenti. Altrimenti rischia una forte impopolarità al di là della Manica, guastandosi rapporti preziosi. Infine, l’opportunità economica: le imprese britanniche, sempre più impotenti di fronte al nazionalismo conservatore, hanno le mani nei capelli davanti al rischio reale di perdere mano d’opera buon mercato che, quando anche sia poco qualificata, ha comunque una solida infarinatura professionale “europea” sia in campo agricolo sia dell’industria delle costruzioni o servizi, come il sistema sanitario nazionale. I problemi dell’ultimo raccolto che ha sofferto di mancanza di braccia o del sistema sanitario, che sta perdendo preziosi medici e infermieri europei, sono lì a dimostrarlo.
L’ideologia, nel nostro caso quella anti-immigrazione, procede per etichette e schemi, fino ad assumere aspetti grotteschi. Nigel Farage, vate della Brexit, si è spinto recentemente, pur di dare contro agli europei, a dire che è ingiusto che gli europei fiocchino nel Regno Unito senza giustificazione, se non il diritto balengo della libera circolazione. E’ giusto, secondo Farage, dare una chance a tutti gli altri cittadini del mondo. Farage, che ha peraltro una moglie tedesca di Germania (ndr), è insomma diventato il paladino degli extracomunitari. Non conta che, negli anni, il libero mercato abbia capillarmente assorbito i lavoratori più adatti nel posto più adatto, guarda caso 3,5 milioni di europei. Ora, per decreto, avremo gente al posto sbagliato, anzi peggio, nessuno, perché non ci saranno extracomunitari qualificati e non ci saranno inglesi qualificati.
La grande ipocrisia alla base di quanto sta accadendo nel Paese, sta infatti nei decenni di abbandono delle classi basse inglesi da parte dei governi conservatori (e purtroppo anche dei laburisti di Blair) che non hanno voluto riqualificare gli operai dell’industria disoccupati. In un Paese in cui, contrariamente a molti altri Paesi europei, c’è poco artigianato e piccole imprese che sono il sale dell’imprenditoria, ci sono oggi legioni proletarizzate di ex-lavoratori dipendenti senza arte né parte che campano di sussidi e sono irrecuperabili per altri lavori. Finora la soluzione darwiniana dei Tory era stata di scavalcarli, aprendo il mercato del lavoro agli stranieri, meglio se europei. Ora che gli stranieri non vanno di moda, il rischio è che si vada verso l’implosione, data l’assenza di qualificazioni delle sottoclassi inglesi. I conservatori più cinici, quelli che delle classi basse se ne sono sempre infischiati, non paiono troppo preoccupati, dato che pensano che la tecnologia e i robot prenderanno il posto dei meno qualificati. Senza rendersi conto che l’arrivo dei robot potrebbe aggiungere un nuovo problema, questa volta ancora più grave, con legioni di disoccupati autoctoni arrabbiati e pronti a tutto.
Finora però la scusa dell’immigrato pericoloso tiene, come tiene la tesi che tutte le colpe vengono da Bruxelles, un moloch senza testa che può essere preso a calci come un fantoccio senza pagare dazio. Dimenticando che tutto l’impianto filosofico bacato della crisi che ci ha portato in queste condizioni è proprio parto dell’ideologia conservatrice che ha creato un’economia di eccessi e polarizzazione tra ricchissimi e poverissimi. E che, davanti a un problema epocale, pensa ora di correre ai ripari con una selezione darwiniana dell’immigrazione che per proprietà taumaturgiche rilancerà l’economia del Paese.