Uber contro Uber

Finora eravamo abituati alle puntuali manifestazioni anti-Uber da parte dei tassisti “tradizionali”, timorosi di perdere il lavoro a causa delle basse tariffe offerte dalla società concorrente di trasporti online. Ora la musica sembra cambiare, dato che ad attaccare l’azienda sono i suoi stessi dipendenti. In effetti, prima di tutto va stabilito se quelli che lavorano per Uber sono proprio dipendenti, dato che la società ha sempre sostenuto che si tratta di liberi professionisti. A dirimere la questione è stata però una sentenza emessa il 28 ottobre scorso da una corte inglese, che ha messo in chiaro che chi lavora per Uber è un dipendente a tutti gli effetti e ha di conseguenza diritto a ferie e assenze malattia pagate e salario minimo garantito. Una minaccia per la struttura dei costi della società e di conseguenza al livello delle tariffe pagate dalla clientela.

Alla decisione del tribunale Uber ha fatto appello, ma pare ormai che la vicenda abbia imboccato una china senza ritorno, dato che ancora pochi giorni fa oltre un centinaio di autisti Uber hanno manifestato nel centro di Londra guidando a passo d’uomo per fare pressione sul sindaco, Sadiq Khan, in modo che si adoperi a che siano riconosciuti i loro diritti, dato che la società ha la licenza (che deve essere rinnovata nel maggio prossimo) ed è sottoposta a supervisione da Transport For London (Tfl), la divisione del Comune che si occupa di trasporti. La manifestazione, come pure la denuncia al tribunale, è nata su iniziativa di due autisti particolarmente attivi nella protesta, James Farrar e Yaseen Aslam, che accusano Uber di applicare standard di lavoro “vittoriani” in una città che marcia al ritmo del XXI secolo. Secondo i due, che hanno fondato una sorta di sindacato autonomo dei guidatori di mini-cab (Unite Private Hire Drivers, UPHD) , i redditi degli autisti Uber sono ai limiti della schiavitù,  con alcuni che lavorano fino a 90 ore alla settimana per un guadagno netto di 5 sterline l’ora, ben al di sotto delle 7,20 sterline del salario minimo. Se fosse confermato che gli autisti sono dipendenti e hanno diritto a un salario minimo, i costi per Uber lieviterebbero del 25%.

La società da parte sua ha fatto notare che il 90% degli autisti sono soddisfatti di come stanno le cose e ciò spiega il successo di un’azieda che in pochi anni è cresciuta a ritmi vertiginosi e oggi conta oltre 40mila “collaboratori” solo nella capitale. Secondo Uber, inoltre, solo il 25% degli autisti lavora oltre 40 ore alla settimana, mentre gli altri sono soddisfatti del grado di flessibilità e libertà che questo lavoro offre loro, permettendo di arrotondare come attività complementare. Ma non sarà poi alla fine tanto rumore per nulla? In effetti, sui tassisti in generale, si sta allungando la lunga ombra delle vetture (e forse un giorno taxi) con l’autopilota. Una minaccia che rischierebbe di trasformarsi in una mattanza per i 300mila operatori di auto pubbliche che operano nel Regno Unito. E non solo al di là della Manica..

  • Arthemis |

    Per essere sicure, le auto con autopilota non devono circolare assieme a quelle a guida umana, difficile che avvenga a breve. Per ora si tratta di guida assistita (v. Tesla) e non autonoma, anche se si fa spesso riferimento solo a quest’ultima. C’è poi tutto il tema etico, es. decidere a livello di algoritmo se privilegiare la sicurezza di chi è a bordo o dei pedoni..

  • Giorgio |

    Intanto gli autisti di uber & minic cab assortiti hanno diritto al salario minimo orario..in quanto alla “mattanza” di posti di lavoro da macchine con autopilota credo nn si debbano preoccupare solo i taxisti. Automotive e indotto rappresenta oltre il 20% del pil complessivo in EU come negli USA. Buona fortuna a tutti noi; giornalisti e cattedratici in economia compresi. Ne abbiamo bisogno

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