Pescatori, pescivendoli, macellai, pensionati, anziani in genere, tassisti, una parte della classe operaia bianca, disoccupati, cittadini oriundi del Commonwealth, e mediamente gran parte dei residenti nel centro-nord dell’Inghilterra, l’area che di immigrazione ha sentito meno gli effetti ma ha più patito a causa di anni di politiche economiche darwiniane e polarizzanti dei conservatori, saranno i più bastonati dall’uscita della Gran Bretagna dalla UE. Su costoro, i pifferai del referendum anti-europeo hanno fatto breccia, promettendo un futuro migliore. Hanno promesso una Gran Bretagna che, finalmente libera dalle catene del super-stato federale europeo, sarà destinata a fiorire e prosperare negli anni futuri.
Il meccanismo purtroppo è noto e ricalca, fortunatamente in toni assai blandi, quanto è accaduto con i vari fascismi del passato, che hanno preso il potere facendo leva sulla piccola borghesia frustrata, promettendo politiche sociali taumaturgiche di stampo nazionalista. Londra, forte di una legione di europei e stranieri affluenti che ne hanno alimentato la crescita in modo vertiginoso, per ora non ha da temere da una crisi economica post-Brexit. Il meccanismo di distruzione di ricchezza è infatti inizialmente lento e accelera progressivamente, fino a toccare il punto del non ritorno. Ma siamo ancora lontani. Chi ha da temere sono proprio coloro che hanno poco fieno in cascina e possono trovarsi senza lavoro dall’oggi al domani a causa di un peggioramento del clima economico. Uno scenario post Brexit assai probabile a giudicare dalla previsione della maggioranza degli economisti.
Terrorizzate dall’ipotesi di vedersi portare via posti di lavoro dagli europei, le classi svantaggiate di inglesi bianchi autoctoni e molti immigrati di vecchia generazione con passaporto britannico o residenti del Commonwealth , che a differenza degli europei hanno diritto di voto alla consultazioni politiche, hanno fatto quadrato, individuando il nemico non tanto nel solito extracomunitario dalla pelle scura, e magari musulmano, come accade nei Paesi europei, ma negli europei bianchi, in particolare dell’Europa orientale. Gli oriundi del Commonwealth hanno infatti alzato la voce, reclamando posti per altri cugini del Commonwealth, che si vedono soffiare lavoro dagli europei dell’Est che possono liberamente circolare e trovare lavoro. Gente che grandina nel Paese in virtù della libera circolazione dei cittadini UE. Gli inglesi autoctoni hanno giocato in difesa, terrorizzati dall’arrivo di bulgari e romeni dopo la prima ondata di polacchi e dall’idea che la UE diventi un sifone che risucchia rifugiati dal resto del mondo per poi spararli sul mercato del lavoro e della previdenza britannica.
Poco conta che gli immigrati europei finora abbiano, statistiche alla mano, beneficiato minimamente della sicurezza sociale britannica (e ne avrebbero beneficiato sempre meno con le politiche restrittive di Cameron in atto) e siano forti contributori netti dello Scacchiere, mantenendo i due buchi neri della Sanità e dei sussidi disoccupazione che beneficiano in gran parte gli inglesi autoctoni. Poco importa, soprattutto, che siano approdati sull’isola a causa della mancanza di qualificazione della mano d’opera locale, un problema antico, derivato da miopia strategica dei governi che si sono succeduti da 30 anni. L’approccio darwiniano di aprire il mercato del lavoro senza proteggere, qualificandoli, i lavoratori britannici, ha creato un solco che ha alimentato un sordo risentimento, esploso nel voto referendario.
Il problema è che, pur ipotizzando per assurdo che tutti i 3 milioni di europei residenti lascino l’isola domani, i loro posti non potranno essere presi né dagli inglesi né dai cittadini del Commonwealth. Anche perché molti di costoro sono ormai piccoli e medi imprenditori. La realtà inoltre è che negli ultimi anni c’e’ stata creazione di posti di lavoro complessiva, inglesi compresi. E’ un fatto però che in alcune aree ci sia stata una pressione al ribasso sui salari. Ma ciò è dovuto in massima parte a datori di lavoro spregiudicati, che non rispettano il salario minimo garantito per legge e non da volontà autolesionista degli immigrati europei.
Il liberismo sul mercato del lavoro unito a meritocrazia è servito ad attrarre gli elementi migliori di Europa in settori ad alto valore aggiunto, come finanza, accademia, sanità, design, architettura, arte, moda, alta tecnologia. Londra oggi ha una classe dirigente e di professionisti parametrata su una capitale mondiale in settori come la finanza, l’industria musicale, le comunicazioni o l’architettura. Se tutti costoro iniziassero a sciamare, riducendo fortemente i contributi all’erario e i loro posti non fossero sostituiti, a patire saranno quelli che finora hanno campato di lavori ancillari o sono stati assistiti dalla previdenza sociale finanziata dalle tasse degli stranieri. E’ stata una politica che ha avuto grande successo per la capitale e per centri di eccellenza come Oxford, Cambridge, Bristol e per certi versi Manchester portando la Gran Bretagna a una specializzazione unica nella divisione del lavoro internazionale. Ma allo stesso tempo ha sempre più sbilanciato il Paese, creando crescente risentimento in chi è rimasto indietro. Non è un caso che il cancelliere dello scacchiere George Osborne ha tentato da due anni a questa parte di creare un polo del grande Nord, dotandolo di infrastrutture e collegamenti per ribilanciare il Paese. Ma come molti progetti faraonici si è rivelato un’illusione.
Come poi la Gran Bretagna, che è cresciuta a tassi molti più elevati del resto d’Europa stando nella UE, possa addirittura decollare uscendo dalla UE pur dopo un periodo economico difficile come ammesso dagli stessi fautori della Brexit è un teorema che i pifferai ci dovranno spiegare dati alla mano. Intanto, oggi, guarda caso, si sono sprecate proprio da parte dei leader della Brexit le dichiarazioni in favore degli europei residenti in UK e il grande contributo che danno all’economia del Paese. Segno che costoro, che prima condannavano l’immigrazione UE e ora si smentiscono, o avevano le idee confuse o peggio erano in malafede e facevano demagogia per acchiappare voti. Ora che il genio è scappato dalla lanterna magica, sarà interessante capire come i fautori della Brexit avranno intenzione di acciuffarlo, considerando che la parola mantra di tutta la campagna è stata “riprendere il controllo” del destino del Paese.