Il 23 giugno gli inglesi saranno chiamati a votare il referendum sulla UE. Restare o partire? Questo è il dilemma che verrà proposto con cadenza ossessiva per i prossimi mesi. Ascolteremo fino alla nausea dibattiti infiniti, leggeremo articoli, studi, ricerche e assisteremo a tornei retorici tra fautori del sì e del no. Ogni minimo argomento verrà sviscerato. E’ già capitato quando si delineò la prospettiva di aderire o meno all’Euro, che si concluse con la decisione del Governo Blair di stare alla finestra. Fu una decisione saggia.
Il dibattito sull’Euro riguardava però un tema ben diverso, che impegnava il Regno Unito a blindare la propria economia in una camicia di forza di crescente integrazione che si è effettivamente mostrata nociva per la maggior parte dei Paesi periferici della UE. E poi non venne sottoposto a referendum. Ora si tratta di cosa ben diversa. Il problema è che tutti i temi anti-europei sviscerati al tempo si sono trasferiti in modo ancora più virulento su un orizzonte completamente differente. Il fronte del no ha infatti elaborato un’intolleranza irrazionale verso l’Europa e alla fine gli inglesi, confusi nella mente, saranno costretti a votare con la pancia. Numeri e dati verranno utilizzati da entrambi i campi a piacimento fino a perdere significato, tramutandosi in una overdose statistica che servirà soltando a confondere le idee.
La Gran Bretagna ha attraversato un periodo difficile, come altre economie europee. Con la differenza che il mercato del lavoro qui è ripartito, ma al prezzo di un ristagno dei redditi reali, bassa produttività e crescente polarizzazione della ricchezza. La crisi finanziaria del 2008 ha peraltro messo a nudo le debolezze del modello anglosassone. La City ha ormai perso stabilmente un terzo degli addetti e il debito delle famiglie continua a crescere in modo impressionante, con proiezioni per il 2019 del 189% sui redditi rispetto all’attuale 120% dopo essere sceso sotto il 100% nel 2015. Sarebbe la proporzione più alta all’interno del mondo occidentale. Il dato è superiore al 162% dello scoppio della crisi nel 2008 e, quanto è più grave, è che quell’anno il debito pubblico britannico era poco al di sopra del 40% mentre oggi è superiore all’80% . I margini di manovra per i tagli di austerità si stanno dunque assottigliando. E’ colpa dell’Europa?
In Italia vige la famosa battuta: < piove, governo ladro >. In Gran Bretagna ogni colpa oggi viene addossata all’Europa da un gruppo di conservatori intransigenti sostenuti da media in buona parte in mano a interessi stranieri come l’americano-australiano Murdoch o il Daily Mail dell’ultra conservatore Lord Rothemere o i fratelli Barclay (che hanno le loro finanze offshire) per il Telegraph. Gli inglesi si trovano peraltro in una profonda contraddizione: hanno voluto pervicacemente un allargamento dell’Europa a Est e un approfondimento del mercato unico. Ora erigono barricate all’immigrazione europea, specie dall’Oriente e pare che vada loro bene soltanto un mercato unico dei capitali e dei servizi ma non più delle persone. Sui richiedenti asilo, mentre la Germania della Merkel si appresta ad assorbire quest’anno oltre 800mila profughi, Cameron si è impegnato ad assorbirne poco più di 20 mila su 5 anni andandoseli a scegliere à la carte nei campi di raccolta. Finora sono arrivate solo poche migliaia. E ciò è molto strano se si considera che ormai a Londra oltre un terzo dei residenti è nato all’estero. Se si considera che l’economia della capitale è sempre cresciuta a ritmo sostenuto durante tutta la crisi, viene da pensare che il motivo del successo sia stato proprio da attribuire all’apporto degli stranieri. Il sindaco Boris Johnson lo sa bene, come sa che quasi 2 milioni di europei vivono nella capitale portando capitali, know how e qualita’ della vita. Oltre al fatto che oltre 2 milioni di britannici vivono in Europa continentale. Ma lo stesso il sindaco uscente (a maggio) ha deciso di cavalcare il fronte del Brexit, rispondendo al richiamo della foresta delle proprie radici conservatrici con una scommessa che molti media hanno bollato come dettata da puro opportunismo.
Quelli che vogliono andarsene sostengono che un’appartenenza alla UE porterà a una diluzione verso il peggio dei valori della migliore democrazia del mondo, a una iper-regolamentazione soffocante e a un legame con un’area economica ormai moribonda che sarà sempre meno importante per il futuro. Tanto meglio andarsene e fare leva sulle proprie qualità commerciando con il resto del mondo. Norvegia e Svizzera sono presi come modello di Paesi indipendenti che prosperano al di fuori della UE. Ma hanno dovuto adottare comunque un numero infinito di direttive UE. Con la differenza che non votano nell’Unione e devono subire da fuori molte imposizioni. La Gran Bretagna ha un peso del 13% nelle votazioni, al pari della Francia. Conviene mollare tutto? Considerando che ci vorranno oltre 2 anni per negoziare i termini legali dell’uscita e molto altro tempo per rinegoziare vari accordi commerciali con i partner europei.
I nazionalisti scozzesi, forti di sondaggi secondo cui oggi la popolazione appoggerebbe la secessione se si tornasse a votare un nuovo referendum, hanno già messo in chiaro che se il Regno Unito votasse per uscire dalla UE chiederanno un altro referendum per uscire dal Regno Unito e restare nella UE. Ciò potrebbe in prospettiva portare a contraccolpi negativi anche in Nord Irlanda. Alla fine lo splendido isolamento di questa democrazia pura e mercantile che sognano gli eurofobi varrebbe solo per Inghilterra e Galles. E’ proprio una buona idea? Da considerare poi che gli USA, modello di libertà e liberismo a cui si ispirano i fautori del Brexit, hanno messo in chiaro più volte che preferiscono avere il Regno Unito dentro la UE piuttosto che fuori perchè più influente all’interno del blocco. Se parlate con gli americani, non faranno peraltro mistero che considerano la Germania il Paese chiave della UE e non il Regno Unito.
Il Regno Unito potrebbe sempre vendersi come alleato fedele degli USA all’interno della Nato. Ma con un esercito che si è ridotto negli ultimi 15 anni da 300 mila a 90mila unità, una marina e un’aviazione che si assottigliano, che peso potrà avere all’interno delle future alleanze? Consideriamo inoltre che mai come oggi il mondo è divenuto più precario sul fronte geopolitico con la Russia che ha mire di espansione, Il Nord Corea sempre piú una pedina impazzita, il Medio Oriente in fiamme che necessita urgentemente pompieri che spengano un fuoco che continua ad alimentare l’esodo di profughi. E’ proprio una buona idea quella di staccarsi dal resto dell’Europa in un momento così difficile?
Ma il fronte del no ha il mal di pancia. Continua a dipingere la UE come un blocco unico, laddove tanti altri Paesi membri si trovano ad affrontare gli stessi problemi degli inglesi. Continuare a invocare ottusamente la propria unicità, rischia sempre più di fare la figura dei rompiscatole. Inoltre, una UE senza Gran Bretagna rischia di diventare un’entità ben diversa e non un monolito immutabile con cui rivedere i propri rapporti. Rischia di divenire un’area sempre più fragile e rancorosa proprio a causa del fatto che sarà differente. Londra si troverà al di fuori e non potrà più influenzare il corso degli eventi. E lo splendido isolamento ne aumentera’ l’insicurezza e la costringerà a maggiori spese militari.
Insomma, il Paese di Churchill, che ha avuto il primato morale durante la seconda guerra con una visione strategica d’insieme, rischia di entrare in convulsione tra argomenti di bottegai. Con la conseguenza che la Germania vedrà crescere il proprio peso morale e politico a detrimento della Gran Bretagna. Conviene tutto ciò per rispermiare qualche miliardo di sterline di contributi europei? David Cameron, nelle circostanze è peraltro riuscito a negoziare nuove concessioni in condizioni difficili per la UE, affrontando partner sempre più irritati davanti a richieste ritenute fuori luogo. Un diplomatico tedesco ha dipinto la situazione dicendo che < la casa comune sta andando a fuoco e gli inglesi si accaniscono a chiedere di riarrangiare il mobilio >. Gli eurofobi vogliono di più e per questo voteranno comunque no. Ma i loro argomenti, specie sul piano economico, sono molto deboli, come hanno dimostrato i primi chiari di luna sui mercati e l’indebolimento della sterlina. La City è peraltro in maggioranza pro europea, come lo è la maggioranza delle grandi imprese inglesi. Per le piccole e medie certamente si può discutere come si può in tanti altri Paesi europei.
Credo che alla fine il fronte anti-Brexit vincerà. Molti si chiedono se vale la pena di affrontere tanti tormenti politici. Cameron ha giocato d’astuzia, scommettendo come ha fatto per il referendum scozzese. Ms anche la vittoria anti-brexit non sarà indolore e rischia di aprire la strada a una guerra civile nel partito dopo l’esito del referendum. Secondo alcuni ciò equivarrebbe a un suicidio politico per i conservatori aprendo la strada a un governo Corbyn con tinte palo-socialiste. Lo stesso potrebbe valere in caso di vittoria del Brexit se i tory filoeuropei erigeranno le barricate nel partito. Sarebbe veramente una sorte ironica quella di abbandonare una UE considerata burocratica e socialisteggiante per poi ritrovarsi soli e fuori dalla UE con un Governo più a sinistra di quello di molti altri Paesi europei…