Quando il business della bontà diventa politico

Da giorni in Gran Bretagna imperversano le polemiche dopo che Kids, un ente caritatevole che aiuta i ragazzi in difficili situazioni familiari, ha dovuto chiudere i battenti. Camila Batmanghelidjh, fondatrice e forza motrice della famosa charity (da noi equiparabile a una Onlus), corteggiata e lodata da personaggi come il Principle Carlo, Richard Branson e la scrittrice J.K.Rowling,  è accusata di cattiva gestione  per avere gettato al vento 37 milioni di sterline (50 milioni di euro) di sussidi pubblici. In cassa non è infatti rimasto più un penny e ciò malgrado la settimana scorsa il Governo avesse provveduto a un credito di emergenza di 3 milioni di sterline per tenerla a galla.

Una storia triste, ma anche particolarmente delicata, dal momento che il premier Cameron aveva fatto di Kids il vessillo della Big Society. Secondo la filosofia di Cameron, gli enti caritatevoli avrebbero il compito meritorio di operare nel campo sociale in modo capillare e accurato, cosa che lo Stato fa male, sprecando danaro pubblico. Per i conservatori era l’uovo di Colombo: con l’appoggio morale alle charities manteneva un’aura di magnanimità sul fronte del sociale, tagliando allo stesso tempo la spesa pubblica sul fronte dell’assistenza. Più di una volta Cameron ha tenuto Kids in palmo di mano, apparendo accanto a Camila, un donnone appariscente che gira inturbantata e vestita con tuniche dai colori vivaci. Ora Camila, che nega di avere mal gestito l’organizzazione,  è diventata un imbarazzo pubblico e il Governo, dopo avere concesso, chiede il rimborso del maltolto.

Lo scandalo di Kids apre un interrogativo generale sul mondo delle charities britanniche. E’ un universo sterminato, con quasi 200mila entità registrate: da quelle enormi come Oxfam fino a quelle che si battono per la salvaguardia dello scoiattolo fulvo, passando per migliaia di piccole organizzazioni nate per combattere una giusta causa in memoria di un famigliare deceduto. Merryn Somerset Webb,  direttrice della pubblicazione Money Week, ha quantificato in 6,5 miliardi di sterline l’anno (9 miliardi di euro) i soldi spesi dai contribuenti a sostegno degli enti caritatevoli. Una cifra a cui si aggiungerebbero altri 11 miliardi (15 miliardi di euro) di soldi versati dai vari dipartimenti governativi che si avvalgono dei servizi offerti da tali enti. Insomma, per quanto non generi profitti, si tratta di un mondo dove girano tantissimi soldi, gestito nei casi delle grandi organizzazioni come un vero e proprio business. Kids, oltre ad avere un board come ogni charity, aveva anche un CEO e un CFO come fosse una vera e propria grande azienda.

Nel mondo anglosassone gli enti caritatevoli no profit sono diventati un universo parallelo a quello aziendale. Si perseguono giuste cause su grande scala, con tutti i crismi di un business professionale. Siamo ben distanti da organizzazioni come da noi erano Don Gnocchi o Don Orione: gli eventi di raccolta delle grandi charity sono veri e propri eventi sociali ad alto livello in cui esponenti della classe dirigente si incontrano in un’atmosfera di generosità in sostegno di giuste cause. Per chi gestisce i grandi enti non si tratta peraltro di una vita di rinunce. Non c’e’ tetto ai salari. Secondo la Somerset Webb, un non ben identificato ospizio non profit in Cornovaglia con 25 letti elargisce salari per 500mila sterline annue al top management composto da 5 persone. E’ evidentemente un caso limite, ma non illegale. Oxfam spende 20 milioni di sterline l’anno in campagne politiche che confinano col lobbying. Negli USA chi apre una charity può addirittura contrarre un prestito iniziale a patto che poi lo copra con la raccolta. Ma quale raccolta? Anche qui molto varia da charity a charity. 

In Gran Bretagna un contribuente può reclamare parte del versamento secondo il meccanismo di Gift Aid può dedurre fiscalmente il 25% mentre lo Stato aggiunge un altro 25%. Per cui ogni 100 sterline versate la Charity ne riceve 125 e lo Sato ne paga 50.  Gli enti poi sono soggetti a esenzione fiscale fino al 100% sui redditi e sull’IVA dei beni che acquista e non paga tassa di bollo sugli acquisti di immobili.

Le grandi Charity si giustificano che per raccogliere molto danaro bisogna avere una grande organizzazione. Fin qui nulla di male. Per un donatore la chiave interpretativa deve essere infatti l’efficienza dell’ente a cui dona. Quanti sono i costi amministrativi? Moltissime Charity , in particolare quelle piccole e media hanno costi contenuti, attorno al 10%. Sopra il 20% (alcune grandi organizzazioni arrivano fino al 50%)   bisogna iniziare a vedere se i soldi sono necessariamente ben spesi e i costi giustificati. Infine c’è l’aspetto volontaristico delle Charity. Nessun trustee può approfittarsi del proprio ruolo a titolo personale, il che e’ una garanzia di serietà.  Ma controllare 200mila organizzazioni non è cosa da poco.

La Somerset Webb suggerisce un giro di vite alle duplicazioni: è inutile avere varie charity dedicate alla difesa dello scoiattolo fulvo. Infine va tenuto presente che essendo associazioni volontarie messe in piedi da gente di buona volontà e in buona fede, non sempre si tratta di organizzazioni ben gestite, dato che nella grandissima parte dei casi chi le guida lo fa nel tempo libero. Per questo, a giudicare dai commenti dei lettori ai recenti articoli apparsi sulla stampa britannica la gente non citrica più di tanto l’eccentrica  Camila, ma piuttosto il premier Cameron che l’ha sfruttata politicamente. In una recente intervista al Financial Times la stessa Camila ha bollato il premier, dandogli del vacuo sostenendo di non avere mai creduto nel progetto della Big Society. In altre parole, lei ha fatto le cose con entusiasmo e al meglio che poteva e perché ci credeva. Colpa del premier se ha voluto metterla in politica. Camila non è del tutto esente da critiche: non ha mai avanzato una lira in cassa e ha spesso fatto pressioni sul Governo (a cui interessava tenerla in vita) per ripianarle i conti, cosa che avveniva puntualmente. I soldi sarebbero stati spesso gettati, dando contanti ai giovani perché andassero a divertirsi. Ci sarebbero stati inoltre casi di droga. E può darsi che emergano anche cose peggiori. La lezione è che le charity non possono fare il lavoro del Governo e che in futuro devono essere meglio regolate per evitare abusi o gestioni approssimative. Camila docet.