Con l’arrivo delle festività della prima settimana di dicembre e la puntuale invasione di italiani (e spagnoli) a Londra, mi tornano inevitabilmente alla mente alcune riflessioni sulla nostra comunità in Gran Bretagna. Sarà un’impressione, moltiplicata dall’italico brusio di questi giorni in metropolitane, musei, autobus, zone di shopping e di esibizioni, ma mi pare che la presenza italiana a Londra stia ormai moltiplicandosi esponenzialmente. Sul tema tornerò presto, non appena potrò disporre di statistiche di fine anno per valutare quanto stia aumentando la legione dei nostri connazionali. Ciò che mi interessa ora discutere è quanto gli italiani si riescono ad adattare alla nuova realtà della capitale e, soprattutto, quanto riescono ad accomodarsi tra loro. Il primo esercizio è difficile e va supportato da un po’ di numeri per capire se tutti si integrano, quanti vengono respinti dalla crescente concorrenza nel mondo del lavoro e tornano a casa e, soprattutto, se chi resta è, tutto sommato, più soddisfatto di quanto fosse stato se rimasto a casa sua.
La seconda riflessione è più difficile da circostanziare con i numeri, ma è assai più facile in base alla mia esperienza diretta. E, su questo fronte, dopo ventun anni di permanenza a Londra, posso emettere un verdetto chiaro senza tema di smentite. Gli italiani a Londra di nuova generazione o, comunque al di sotto dei 50 anni, sono perfettamente integrati tra loro e non si discriminano più sulla base della provenienza regionale. Agli innumerevoli eventi sociali a cui ho partecipato, raramente ho assistito a incontri di soli milanesi, campani, romani o siciliani. I circoli regionali di provenienza sono ormai roba per vecchi nostalgici emigrati, anche se fa sempre piacere osservare la ricchezza delle tradizioni regionali e partecipare ad alcuni eventi, specialmente quando sono legati al mondo alimentare e della ristorazione.
Londra ha in effetti esercitato un effetto centrifugo, agito come un enorme reattore che neppure Milano, la città più aperta di Italia, è riuscita a fare su base nazionale. E’ un fenomeno interessante da osservare, dato che, secondo i dati del nostro Consolato a tutta la fine del 2012, su 202mila italiani residenti in UK e iscritti ufficialmente all’AIRE, ci troviamo di fronte a una rappresentanza regionale estremamente equilibrata. Non si può infatti più parlare della solita emigrazione dei poveri italiani del Sud in cerca di fortuna. Del totale infatti, se è vero che in rappresentanza del Sud i campani sono circa 38mila, i pugliesi 11mila e i siciliani 24mila, in rappresentanza del Centro-Nord i Lombardi sono quasi 21mila, i veneti 14mila, gli emiliani 12mila e i laziali ben 23mila. Ciò che trovo assai positivo è che tutti costoro si frequentano tra loro in base al lavoro o ai propri interessi e la provenienza regionale è assolutamente irrilevante. Al contrario, c’è curiosità, apertura ed empatia verso italiani di altre regioni e incontrarsi senza pregiudizi per condividere le proprie esperienze umane è un grande fattore di arricchimento umano oltre che professionale.
Nelle classi alte il fenomeno ha raggiunto il livello di coesione più elevato sul fronte professionale, con interessanti risvolti che rovesciano il paradigma. Il ricco Nord e Nord Est d’Italia, pullulante di piccole e medie aziende, per certi versi è paradossalmente rimasto indietro rispetto al Sud. Non dispongo di statistiche, ma se vi fidate della mia esperienza posso garantirvi che nella City di Londra la rappresentanza di italiani del centro e del meridione è almeno uguale a quelli del Nord. Per avere successo in finanza o nel mondo legale, più che di capitali bisogna disporre di una buona educazione. E su questo fronte tanti giovani del Sud con una buona educazione sono riusciti a sfondare. Tanti giovani del Nord che ereditavano dai genitori la piccola azienda si sono impigriti rimanendo a casa a seguire le orme paterne. Fino a che la crisi degli ultimi 7 anni non ha iniziato a rimescolare fortemente le carte. La classe dirigente del Nord, colta da una crisi di sfiducia nel futuro del Paese e provata dalla chiusura di molte aziende famigliari, sta ora mettendo in salvo i propri rampolli mandandoli a studiare all’estero, in Gran Bretagna in particolare, scoprendo sempre più la necessità di una buona preparazione accademica rispetto al passaggio delle consegne da padre in figlio di capitali e mestiere.
Il mercato del lavoro di Londra, che non guarda in faccia a nessuno, ha livellato peraltro i nostri connazionali in tutte le discipline: dall’accademia, alla medicina, passando per architettura, design, marketing, moda e ristorazione. I divertimenti e le opportunità di arricchimento culturale che offre la capitale sono peraltro alla portata di tutti e non si trovano di fronte a una domanda differenziata su base di provenienza. Per i giovani meridionali senza lavoro, Londra ha inoltre permesso opportunità molto maggiori rispetto al Paese di origine e oggi tanti di loro hanno un vantaggio competitivo rispetto ai coetanei settentrionali più benestanti, imparando un mestiere e misurandosi presto col mondo del lavoro, apprendendo una lingua e immergendosi in una mentalità più aperta rispetto a quella di casa.
Restano quelli che hanno intrapreso un’attività in proprio o le aziende italiane che hanno investito in Gran Bretagna. Queste, dopo una fase di stasi seguita alla crisi del 2008, hanno ricominciato a investire e nuovi attori si sono affacciati anche dal Sud, specie coloro che hanno avviato da zero un’attività in proprio in Gran Bretagna. Secondo un recente studio della Camera di Commercio britannica nel Regno Unito, le nostre aziende, che dal 2000 al 2006 sono passate da 443 a 681 aumentando gli addetti (in gran parte britannici) da 26 mila a oltre 46mila e il fatturato complessivo da 7 a 14,5 miliardi di sterline, dopo una flessione numerica a 646 imprese e 41 mila addetti nel 2009 ( per quanto il fatturato sia continuato a crescere a quota 17 miliardi), nel 2013 sono tornate a investire alla grande, salendo a 695 per un totale di oltre 48mila addetti e un fatturato complessivo di 24,4 miliardi di sterline, con un aumento rispettivo del 7,6%, 17,3% e 44%. Su questo studio torneremo più in dettaglio, ma va detto che tra le nostre aziende presenti in Gran Bretagna c’e’ oggi una buona rappresentanza del Centro-Sud, a testimonianza che i settori della nuova economia aprono possibilità che il tradizionale mondo della meccanica confinava al Nord del nostro Paese.
Un mercato del lavoro flessibile, un mercato dei beni e servizi aperto senza protezioni, un sistema burocratico snello e una concorrenza libera, condita con una meritocrazia imparziale, hanno permesso agli italiani di esprimersi al meglio, dando vita a un embrione di un nuovo Paese in terra estera. C’è solo da augurarsi che ciò porti a ricadute importanti in casa nostra, laddove questa crescente brigata di italiani internazionali farà sentire in modo crescente il proprio peso interagendo con il Paese di origine. A Londra le differenze tra Nord e Sud sono state cancellate. Parafrasando Massimo d’Azeglio, che realisticamente lamentava che dopo avere fatto l’Italia restavano da fare gli italiani, possiamo oggi aggiungere un corollario britannico e in particolare londinese dove gli italiani sono ormai fatti, mentre l’Italia dopo oltre 160 anni resta in molte regioni ancora da fare….