Il pericolo della secessione della Scozia è scongiurato. Con il 55,3% delle preferenze, i no al referendum sull’indipendenza hanno vinto con un margine netto. Ma è anche vero che il 45% di sì è una cifra cospicua, un massiccio blocco di elettori scozzesi renitenti all’Unione, con cui bisognerà fare i conti. Per questo motivo, come sostenevo nel precedente Blog, dopo il referendum di ieri, niente sarà più uguale nei rapporti tra le popolazioni delle isole britanniche. E’ ormai un fatto che da oggi il Regno Unito, uno dei Paesi più centralizzati d’Europa, ha imboccato la strada del federalismo. L’annuncio lo ha dato chiaramente alle 7 di questa mattina ora locale il premier britannico David Cameron, che ha delineato un profondo cambiamento istituzionale già entro fine anno. Se è infatti vero che Cameron si appresta a onorare le promesse di maggiore autonomia fatte alla Scozia in fretta e furia alla fine della campagna elettorale sull’onda di un crescente clima indipendentista, il premier ha messo altrettanto in chiaro che, per motivi di equità, anche Inghilterra, Galles e Nord Irlanda dovranno essere messi in condizione di avere maggiore voce in capitolo nelle decisioni che riguardano la loro amministrazione locale. Quella che passa con il nome astruso di West Lothian Question, ossia il paradosso per cui 49 deputati scozzesi che siedono a Westminster hanno voce in capitolo sulle votazioni che riguardano materia amministrativa e di politica interna in Inghilterra e Galles, oltre ad avere altri colleghi che possono votare in libertà sui propri interessi locali nel parlamento nazionale di Holyrood è destinato a finire. E’ da vedere se verrà creato un nuovo Parlamento locale inglese (I Gallesi hanno da tempo la loro assemblea) o, assai più probabilmente e certamente più economicamente, se verranno congegnate leggi ad hoc dal cui voto a Westminster verranno esclusi in futuro i parlamentari scozzesi.
Il fatto certo è che il Regno Unito si appresta a diventare più disarticolato e disunito e ciò porterà inevitabilmente a una forte asimmetria. L’Inghilterra, con 53 milioni di abitanti, conta infatti per l’84% della popolazione, rispetto all’8% dei 5,3 milioni di scozzesi, al 5% dei 3 milioni di Gallesi e al 3% degli 1,8 milioni di Nord Irlandesi. L’esercizio della disarticolazione non si preannuncia per niente facile. Paradossalmente infatti uno potrebbe interpretare la sconfitta degli indipendentisti scozzesi come una vittoria degli inglesi che ora, oltre a essere più popolosi e ricchi, si apprestano a diventare più “egoisti”, guadagnando in autonomia e badando di più ai fatti propri. E all’interno di un’Inghilterra più ripiegata su se stessa, crescerà il peso dei conservatori rispetto a quello dei laburisti (in minoranza in Inghilterra) su materie interne importanti. Come verranno fatte le campagne elettorali nazionali in futuro? Cosa potranno promettere i partiti a livello “federale” e cosa a livello nazionale dato il diverso rapporto di forze? E i laburisti in particolare, forti storicamente in Scozia ma ora ridimensionati dai nazionalisti di Alex Salmond al parlamento locale come riusciranno a destreggiarsi?
La decisione di Cameron di dare più autonomia agli inglesi non va peraltro vista come un calcolo elettorale cinico di un partito che sa di avere la maggioranza in Inghilterra. La promessa ulteriore autonomia alla Scozia, se non bilanciata da maggiore autonomia alle altre componenti del Regno Unito, non potrà infatti non alimentare forti risentimenti presso gli inglesi se non verrà controbilanciata. Non è un caso che Nick Farage, leader dei nazionalisti di destra dell’Ukip, pur salutando la vittoria dell’Unione al referendum, ha messo in chiaro che una Scozia più autonoma in futuro dovrà badare più a se stessa e non gravare sulle casse di Londra.
Si apre insomma una nuova affascinante partita politica e istituzionale. Una fase storica, anche se non sorprendente, dato che non fa che accelerare la marcia della Devolution voluta dai Governi Blair e Brown (paradossalmente composti in grandissima parte da politici dell’aristocrazia laburista scozzese). Cameron, che pareva ormai politicamente con un piede nella fossa in caso di vittoria del sì perché reo di avere concesso un referendum in termini favorevoli agli indipendentisti, può ora cantare vittoria: può reclamare i valori della democrazia britannica, che dà a tutti diritto di esprimersi, ma allo stesso tempo dimostra di avere preso un rischio calcolato, cogliendo la vittoria.
Là dove tutto cambia è nel nuovo assetto istituzionale del Paese. E su questo fronte certamente si è aperto un vaso di Pandora, dato che un’autonomia degli inglesi, che sono i parenti ingombranti dell’isola, deve essere pensata molto bene per non causare nuovi problemi. Altrimenti la dichiarazione secondo cui < la questione dell’indipendenza scozzese è ora accantonata per una generazione > si dimostrerà quanto mai effimera. La disarticolazione in vista deve infatti portare a stabilità e non alla disgregazione.