Tutti si aspettavano a Londra che l’Ukip di Nigel Farage avrebbe messo a segno un forte risultato a queste elezioni europee. Il voto sull’Europa permette un comportamento più disinvolto rispetto alle politiche, dato che non ha un effetto immediato sul Governo e l’Europa è diventata il simbolo negativo contro cui si sfogano le frustrazioni degli inglesi. Inevitabile che Farage avrebbe raccolto un forte voto di protesta. Il fatto sorprendente è che il risultato è andato oltre alle aspettative più ottimistiche. Farage ha infatti preso il 28% dei voti, la percentuale più alta di elettori, battendo in modo netto i laburisti di Ed Milliband con il 25% e i conservatori con il 24%. I poveri Liberaldemocratici, tradizionalmente eurofili, sono stati dimezzati, con un crollo al 7%, dietro agli stessi verdi, che hanno messo a segno un notevole 8%. Tradotto in seggi al Parlamento Europeo, a Farage sono andati 24 deputati (+11), al Labour 20 (+7), ai Tory 19 (-7) , ai Liberaldemocratici 1 (-10) e ai verdi 3 (+1). Farage ha avuto l’onore di battere un altro record che resisteva da oltre un secolo: per la prima volta un partito outsider ha fatto meglio di conservatori e laburisti, che per oltre cent’anni si sono divisi, a legislature alterne, l’onere e l’onore di Governare.
Per quanto le elezioni europee non abbiamo la stessa forza di quelle politiche, questa volta hanno un cruciale significato perché rivelano crudamente un profondo cambiamento in atto da tempo nel Regno Unito. Hanno infatti dato il segnale di avvio a un periodo di instabilità che si trasformerà in un incubo per David Cameron. Enormi sono infatti le placche tettoniche in movimento sotto i fondali della Manica: un Paese che per secoli è stato politicamente stabile si trova ora davanti a grandi incertezze. Farage potrebbe infatti di rivelarsi tutt’altro che un fenomeno passeggero, condizionando profondamente gli equilibri di Westminster dopo le elezioni del 2015. Come lo stesso Farage ha detto, potrebbe diventare l’ago della bilancia di qualsiasi futuro Governo. Se i Liberali continuassero il loro declino ci troveremmo in futuro ancora con 3 partiti ma con un’agenda trasformata. I liberali non eserciterebbero più un ruolo di moderazione e i nazionalisti di Farage fuori da ogni coalizione diverrebbero un elemento di radicalizzazione dei Tory, imponendo loro non solo un’agenda anti-europea, ma nettamente anti-immigrazione e nazionalista con tinte protezioniste.
Per Cameron i prossimi 12 mesi che ci separano dalle politiche del 2015 rischiano di trasformarsi in un incubo. Dovrà combattere l’Ukip senza pero’ mostrarsi filo-europeo per non perdere altri elettori. D’altra parte a breve termine gli si sta parando una prospettiva ancora più inquietante dato che dovrà fare di tutto per salvare l’Unione. Al referendum di settembre prossimo, si fa infatti sempre più concreto il rischio di una secessione della Scozia. Se la Scozia votasse per l’indipendenza, per Cameron rischia di essere la rovina politica ben prima delle elezioni generali. Un altro fronte pericolosissimo si sta dunque aprendo. E il Primo ministro pare disarmato. Davanti a Farage, per non perdere consensi, deve tenere una linea nazionalista. E in Scozia, dove i conservatori non contano politicamente quasi più nulla, gli argomenti pro-unione si indeboliscono ogni giorno che passa.