Non c'è ombra di dubbio: Londra è ormai capitale mondiale del eating out, ossia il mangiare fuori casa. Che siano ristoranti, bancarelle, bar, pubs o catene di fast food sorte come funghi, negli ultimi 25 anni c'è stata una vera rivoluzione, scoppiata in virtù di un radicale cambiamento delle abitudini degli inglesi a partire dall'inizio degli anni '90. Un boom destinato a durare, stando ad Allegra Strategies, societa' di studi del mercato alimentare, che prevede un aumento del 20%, dai 52 miliardi di sterline del 2012 a 65 miliardi nel 2017 nel settore "informale" del eating out (non strettamente ristoranti) in tutto il Regno Unito. Secondo statistiche un poco datate dell'ufficio del sindaco di Londra, la ristorazione continua a sfornare posti di lavoro nella capitale: nel 2006 gli addetti del settore alberghiero e della ristorazione (bar e pubs compresi) nella capitale avevano superato le 300mila unità. Il balzo e' avvenuto appunto a partire dal 1990, anno in cui il totale degli impiegati nel settore era piu' o meno stabile a 180/90mila persone, lo stesso livello del 1971. Oggi la cifra è assai probabilmente superiore alle 350mila unità, quasi il 5% della popolazione della capitale. Lo studio, che prendeva atto di un boom inarrestabile, prevedeva peraltro il raggiungimento delle 539mila unità nel 2026. In tutto il regno Unito gli addetti del settore sono circa 1,4 milioni e Londra conta dunque per un quarto del totale.
Dei 138 ristoranti britannici che si fregiano di stelle Michelin, circa la metà (67) sono d'altronde nella capitale e dintorni, di cui tutti i 4 blasonati con 3 stelle, 10 dei 21 con due stelle e 53 dei rimanenti 113 monostellati. A Londra si possono degustare circa 60 tipi di cucine (nazionali e regionali), dal semplice all'estremamente sofisticato. Secondo Trip Advisor, i ristoranti londinesi avrebbero raggiunto quota 16.213. Di questo totale – un dato consolante in un momento di scoramento per noi italiani depressi dallo stato comastoso della nostra economia – è da registrare l'innegabile il primato dei ristoranti del Belpaese: sono 1379, quasi il 10% della cifra complessiva, a ridosso dei 2058 considerati British (che saccheggiano comunque abbondantemente le ricette della nostra cucina) dei 1013 "europei" (idem) e, a distanza, dei 949 indiani, seguiti da 556 francesi, 506 mediterranei (nuovamente la nostra cucina ha un peso) e 496 cinesi.
Il mondo dei ristoranti, specie a Londra, è un affare molto serio. Alcune punte di eccellenza (attorno alla decina) superano di slancio i 10 milioni l'anno di sterline di fatturato (circa 15 milioni di euro). Considerando che raramente i ristoranti italiani sono scadenti, secondo Stefano Potortì, Ceo di Sagitter One e uno dei massimi esperti italiani di ristorazione italiana nella capitale "un ristorante italiano degno di tal nome fattura a partire dalle 300mila sterline l'anno, il che permette una vita più che dignitosa se l'esercizio è a gestione famigliare". Potortì ricorda che "anche noi italiani abbiamo peraltro punte di eccellenza, che registrano un giro d'affari superiore ai 5 milioni". Sono cifre stratosferiche, considerando che, nell'Italia intera, ristoranti che fatturano 6/7 milioni di euro l'anno, si contano sulla punta delle dita. Non è un caso peraltro che, a partire dagli anni '90, vari ristoratori italiani hanno fatto rotta su Londra per partecipare al boom in atto, fatturando spesso più della sede originale. In alcuni casi certi ristoratori si sono addirittura stabiliti a Londra chiudendo in Italia, dove erano afflitti dalla burocrazia e dove il concetto di catena è inesistente. Se facciamo un calcolo molto spannometrico e diamo valore 400mila al fatturato medio dei ristoranti italiani a Londra, possiamo affermare che la cifra d'affari totale dei nostri ristoratori nella capitale è attorno al mezzo miliardo di sterline…E ciò al netto delle numerose bancarelle alimentari nei mercati rionali, dei bar o delle mense aziendali in appalto.
In effetti, chi abita a Londra mangia sempre più fuori casa a causa di una vita mobile, che costringe le coppie a lavori diversi in posti diversi e, date le distanze, comunque tutti a non rientrare a casa per il lunch di mezzogiorno. Secondo uno studio dell ONS, l'Ufficio nazionale di statistica, nel 2004 si sarebbe avverato il sorpasso, per cui la spesa alimentare degli inglesi fuori casa ha superato quella destinata alle quattro mura del focolare. In cifre, la spesa alimentare fuori casa (tutte le categorie comprese, dalla bancarella al ristorante tradizionale) aveva toccato 88 miliardi di sterline, in aumento del 102% dal 1992 (ossia raddoppiata), mentre quella in cibo e bevande consumate in casa era di 86 miliardi, in aumento "solo"del 53%. Secondo uno studio della società di consulenza Deloitte di un paio di anni fa, relativo all'intero Regno Unito, la rivoluzione alimentare ha portato il consumatore medio inglese a mangiare fuori casa 198 volte l'anno (246 volte gli uomini e 170 le donne) con punte di 283 volte nella fascia compresa tra i 18 e i 34 anni. Considerando 3 pasti al giorno per un totale di circa 1.100 pasti l'anno, i giovani mangiano ormai oltre una volta su quattro fuori casa, con punte ancora piú alte a Londra rispetto alle Midlands, dove la gente tende a stare piú a casa.
Chiunque giri per Londra può notare peraltro la tendenza al fast food, che è di ottima qualità rispetto a molte altre città europee (specie in Francia) e che pesa per oltre un terzo di tutto l'eating out degli inglesi. I quali colpiscono noi italiani per mangiare spesso in piedi come i cavalli o su panchine, non lontani dai posti di lavoro, se non al tavolo di lavoro stesso, dove il boccone viene portato come una preda di caccia. In effetti circa metà di chi si serve ai fast food prende il cibo in forma di takeaway, ossia "da asporto", per usare un terribile termine italiano.. In media, tra fast food e ristoranti, tra pranzi, breakfast e cene, gli inglesi spendevano circa 25 sterline la settimana nel 2010. Questa cifra è però una media, soggetta ad ampie oscillazioni (tral e Midlands e Londra ci sono differenze enormi) e i prezzi sono influenzati da una forte ascesa dei prezzi alimentari, per cui le 19 sterline in media di un pasto di tre portate del 2010, considerata un'inflazione annua del 5% dei prezzi della ristorazione portano a forti differenze. Pensate che solo tra il 2007 e il 2010 i prezzi alimentari in GB sono saliti del 12%, pari a tre volte la Francia. Oggi la spesa media fuori casa ha superato certamente le 30 sterline la settimana a livello nazionale e a Londra le 50.
I prezzi insomma salgono ma, malgrado tutto, la passione per l'eating out , in particolare a Londra, cresce di pari, con una progressione inarrestabile. D'altronde, data l'enorme scelta di cucine etniche con relative rivisitazioni permanenti, la crescente qualità del cibo, l'ambientazione dei locali sempre più creativa, la possibilità di socializzare in modo stimolante, la mobilità crescente dei giovani, la ristorazione diventa sempre più un'esperienza di stile che migliora la qualità dell'esistenza. Se vogliamo usare una parola grossa, la tavola è senz'altro uno dei maggiori fattori di felicità per un individuo e..chi lo avrebbe detto,- dato che gli inglesi non sono un popolo di chef -Londra in questo campo è all'avanguardia nel mondo.