Recentemente la Svizzera ha raggiunto gli 8 milioni di abitanti, mettendo a segno una crescita della popolazione di circa il 30% negli ultimi 30 anni. In Svizzera, che peraltro nel 2011 registrato l'invidiabile tasso di crescita del pil dell'1,9%, 22 abitanti su 100 sono nati all'estero. Il che fa della Confederazione uno dei Paesi più internazionali del pianeta. Per trovare tassi di internazionalizzazione così alti bisogna infatti guardare alle città. A Londra un abitante su 3 è nato all'estero, a Parigi siamo a poco meno del 20%, New York circa il 25%. La Gran Bretagna, per quanto apparentemente aperta al mondo ha una percentuale di stranieri di poco superiore all'8% se si escludono i residenti della capitale, circa lo stesso livello degli altri grandi paesi europei.
La crescita della Svizzera, come quella di Londra e Parigi, inutile dirlo, ha tratto linfa dal vitale apporto degli stranieri. Negli ultimi trent'anni si è trattato di un fenomeno importantissimo che non mi stanco di sottolineare. La globalizzazione infatti sta affondando sempre più le proprie radici su alcuni poli costituiti da città-Stato come Parigi, Londra, Singapore e New York o sistemi Paese assai aperti come la Svizzera e l'Olanda, o Paesi autosufficienti e potenti come Germania e Usa, forti nazionalmente ma aperti al mondo.
In questo scenario l'Italia resta un fritto misto in cerca d'identità e continua a perdere terreno per incapacità di trarre il meglio dai rapporti con il resto del mondo. Milano, Torino e Roma restano città intimamente provinciali. Il resto del Paese rimane saldamente ancorato attorno ai campanili. I turisti sono una bella cosa, ma nel nostro caso sono anche il migliore esempio della nostra incapacità: siamo forse il Paese che in proporzione ha avuto più visite di stranieri al mondo, ma non siamo riusciti a trasformare l'attrazione di chi ci veniva a visitare in opportunità di lavoro e di valore aggiunto professionale. Oggi, peraltro, siamo scesi nella stessa graduatoria del turismo, dove una volta eravamo al vertice. Non siamo più neppure il Paese più importante del Mediterraneo. O, almeno, a guardare le dinamiche in atto, ci faremo presto bagnare il naso dalla Turchia. Con 75 milioni di abitanti, contro i nostri 60, un forte tasso di crescita, un'economia completa – dall'industria ai servizi – una crescente egemonia nell'area mediorientale, dal Libano al Kazhakistan, la Turchia è lo specchio rovesciato del nostro insuccesso. Istanbul, su cui scriveremo un post a parte, ha raggiunto ufficialmente 14 milioni di abitanti , la seconda area metropolitana d'Europa dopo Londra. Nel 1945 ne aveva uno, di milione, come Napoli, che è stata storicamente una delle grandi capitali del Mediterraneo. Purtroppo, mentre la grade città turca è decollata per la tangente, il capoluogo partenopeo, già capitale del Regno delle due Sicilie, è rimasta al palo, dato che 60 anni dopo ha ancora la stessa popolazione…Sono numeri che devono fare riflettere.