Verrebbe logico da pensare che, fino all'inizio del 2008, quando tutto andava bene e l'economia europea faceva fuoco e fiamme, agli inglesi, sotto sotto, una tentazione di partecipare al successo dell'eurozona ogni tanto passava per la testa. Verrebbe anche da pensare che ora, con l'eurozona sull'orlo dell'abisso, gli inglesi ringrazino il cielo di non avere mai aderito e tirino un grande sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Entrambe le affermazioni sono vere fino a metà. Quando tutto andava bene, gli inglesi preferivano stare fuori dall'euro per un senso di superiorità: stare nell'eurozona avrebbe significato legarsi sempre più a un'area economica socialisteggiante, con mercati ingessati e Paesi afflitti da burocrazia e una legislazione soffocante. Dopo lo scoppio della bolla finanziaria, che ha mostrato tutti i limiti del modello agile e deregolamentato anglosassone, gli inglesi hanno iniziato ad avere paura della loro solitudine. Certo, l'Europa rischia di andare alla malora anche perchè molti Paesi hanno i conti in disordine, ma Londra, con un deficit al 9% del pil e un debito all'80%, quando ancora 3 anni fa le proporzioni erano 3% e 37% rispettivamente, non è messa tanto meglio. E dal cugino americano, faro e modello di sviluppo e deregolamentazione da Ronald Reagan in poi, che ispirazione giunge in questi giorni? Degli Usa poco se ne parla, poiché in Europa siamo occupati a salvarci la pelle, ma il Paese di Obama sta veramente meglio? Fortuna che è uno Stato federale, altrimenti se fosse stata un'Unione come quella europea, la cacofonia fiscale di Stati come California, Alabama, Mississipi, Texas e Massachussets avrebbe forse minacciato a sua volta la sopravvivenza del dollaro. Quanto agli inglesi, essi scoprono che il loro destino è legato a doppio filo con l'Europa: i media non si stancano di ripretere che 50% del commercio britannico è legato all'eurozona. Il premier David Cameron, preoccupatissimo, continua a far la spola tra Londra e Bruxelles per capire meglio che succede, ma si rende anche conto della impotente posizione semi distaccata in cui si trova, dato che condivide solo a metà le responsabilità dei cugini europei. E' dilaniato: da un lato gli stessi conservatori vorrebbero che l'Europa si integrasse maggiormente sul piano fiscale per salvare l'euro e quindi l'economia inglese, dall'altro Londra si rende conto che, davanti a una maggiore integrazione economica dell'Europa, il rischio è di rimanere sempre più tagliata fuori. E ciò senza che gli altri cugini americani possano essere di aiuto o di contrappeso. Nelle situazioni di pericolo essere semi distaccati, semi-detached, come dicono gli inglesi, si hanno maggiori possibilità teoriche di mettersi in salvo. Ma se gli altri si mettono in salvo, sanno ringraziare chi ha veramente aiutato. In pratica, come sta avvenendo, se l'Europa riuscirà a superare la crisi, rischia di voltare le spalle agli inglesi che, dall'altra parte della Manica, in questa fase storica, non paiono essere né di grande aiuto né di grande ispirazione nella ricerca di soluzioni alternative alla terribile crisi che attraversiamo.
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