Zitto zitto, cheto cheto il vino inglese sta facendo boom. Finora il successo, che ha addirittura attratto l'attenzione di The Economist, è consumato tra le mura domestiche: 4 milioni di bottiglie prodotti nel 2010, quasi tutti di bianco e in buona parte frizzante. Ma sono stati bevuti con piacere, considerando che il frizzante ha avuto una crescita dei consumi del 17% mentre il bianco fermo Made in England nei campi del Kent, del Surrey, del Somerset e della Cornovaglia è addirittura balzato del 71%. Il vino non è cattivo, dato che il terreno calcareo del Sud-Est è geologicamente cugino delle lande dello Champagne in Francia. Quello che mancava finora era il clima. Questo, in virtù dell'effetto serra, è venuto in soccorso dei produttori inglesi.
Varie qualità di uve di ceppo Germanico, più adatte al freddo, sono state recentemente sostituite da uvaggi francesi, che necessitano più sole e un clima più asciutto. I produttori, grazie al continuo perfezionamento degli enologi, stanno ormai producendo vini di discreta qualità. Il successo crea delle tensioni e dei bisticci con i produttori di british wine, i mercanti che da tempi immemori mescolano e imbottigliano uvaggi importati. Nel momento in cui c'è richiesta di buon English wine quello British di bassa qualità e prezzi stracciati (tra 3 e 6 sterline) crea confusione e delude i consumatori che si aspettavano di bere un buon inglese. D'altronde è comprensibile la rincorsa al consumatore dato che in Gran Bretagna si scolano 1,8 miliardi di bottiglie l'anno. I produttori da parte loro hanno risposto coltivando nuove terre a settentrione, in una sorta di conquista del Nord. A Sud del Galles si produce già da tempo come pure nell'Essex e nel Suffolk. Si coltiva ormai sulla stessa superficie produttiva che sfruttavano i Romani nel 4 secolo, poco prima di abbandonare l'isola sotto la pressione delle invasioni barbariche. La risalita verso Nord, complice un clima più mite pare dunque consolidarsi. Citato da The Economist il professor Richard Selley dell'Imperial College non esclude che, se il riscaldamento della terra continuerà, nel 2080 potremo bere un ottimo scozzese Cote d'Ecosse. Chissà… l'importante è cheora di allora non ci troveremo col deserto e i cactus a Sud del Mediterraneo…