Marketing: Inghilterra batte Italia 10 a 0

La storia è vecchia ormai di anni. Facciamo il migliore caffé, eppure è Nespresso della svizzera Nestlé ad avere un successo travolgente in tutto il mondo grazie anche alla pubblicità di un finto italiano: l'americano George Clooney. A Londra le catene di coffee houses come Starbuck, Caffé Nero e Costa sono tutte di proprietà inglese o americana. Lo stesso vale per le catene di pizzerie come Pizza Express, Domino o Pizza Hut. Jamie Oliver ha portato in Inghilterra il concetto del mangiare bene italiano dopo essere stato per lunghi periodi in Italia e ora insegna agli inglesi le delizie della cucina mediterranea.  Abbiamo a Londra alcuni chef di qualità, di cui alcuni famosi come Giorgio Locatelli o Francesco Mazzei ma tutto sommato restano di nicchia. Antonio Carluccio, sulla scia di un gran successo personale aveva provato a dare vita a una catena propria ma poi ha ceduto agli inglesi che oggi tappezzano il paese moltiplicandola con nuovi negozi. Oltre all'idea gli hanno comprato anche il nome.

La capacità di comunicare in modo chiaro, la logistica impeccabile, l'abilità e la creatività dei messaggi pubblicitari, la coerenza, la mancanza di rissosità che è il tarlo italiano che rovina i grandi sistemi di interazione sociale – siano aziende o amministrazioni - permettono agli anglosassoni di appropriarsi di prodotti e idee nostre e proiettarle verso il grande pubblico. I vini, un settore in cui eravamo secondi solo ai francesi ancora una volta in virtù delle migliori doti di marketing dei cugini transalpini, ci vedono perdere paurosamente posizioni sul mercato inglese (il più perfetto, dato che non c'è produzione locale) a profitto di australiani, cileni, argentini, americani, neozelandesi, bulgari, ungheresi e un giorno perchè no magari anche i cinesi. Una volta un banchiere inglese mi fece parte di una famosa battuta che gira in Australia: i greci mettono in piedi la bancarella di frutta e verdura, gli italiani aprono un negozio ma poi sono gli anglosassoni a creare il supermercato. A tutto ciò ribattiamo con snobismo che a noi interessa la qualità. La storia era buona fino ad alcuni anni fa. Oggi non tiene più: alcuni supermarket come Sainsbury's o John Lewis vendono prodotti ottimi provenienti da tutto il mondo con qualità spesso migliore dei nostri supermercati alimentari e spesso anche di negozi. Utilizzano compratori italiani che vanno in cerca dei nostri migliori prodotti e poi li distribuiscono ai quattro venti con un massiccio dispiegamento di mezzi. Oliver ora fa pure l'aceto balsamico con la sua faccia sull'etichetta. E vi assicuro è migliore di molti italiani. Resto convinto che spesso questo modo industriale e massificato di procedere vada a detrimento del buon gusto. Ma non del tutto, tanto è vero che ha migliorato gli standard e il gusto degli inglesi enormemente, con positivi effetti sociali. Se era per noi, a Londra, in Inghilterra e nel resto del mondo andavamo avanti con i nostri ristorantini gelosamente a gestione famigliare della diaspora di italici immigrati. Ci resta sempre la gioia di decantare il prodotto genuino come il Felino e l'aceto balsamico di Modena, il lardo di Colonnata, il parmigiano reggiano, e via cantando fino al "vino del mi' babbo…" Le eccezioni sono poche, come il cioccolato Gianduia, che il signor Michele Ferrero ha trasformato in un successo mondiale con il nome di Nutella. O la pasta, che resta saldamente ancora in mano a grandi produttori come Barilla o De Cecco. (Buitoni è di Nestlé). In fondo, anche questi sono prodotti famigliari in senso lato, dato che sono fatti da aziende non quotate. Ma vanno avanti grazie a un ottimo marketing e capacità logistica. Non potremmo fare meglio anche con altre aziende? Sono preoccupato peraltro dal settore moda, dopo la cessione di Bulgari a Lvmh. I grandi nomi stanno invecchiando. I patriarchi che hanno creato l'impero potrebbero passare la mano a stranieri in un settore in cui stavamo dominando. Ognuno fa quello che sa fare al meglio e, in un Paese in cui nessuno legge, non si può pretendere di essere all'avanguardia nella rivoluzione di internet o dei network sociali. Ma almeno per mangiare e vestire, che sono i due grandi sport nazionali, dobbiamo tenere duro. Altrimenti c'è il rischio che i cloni italiani alla Clooney o Carluccio si moltiplichino. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  • gianni |

    Ottima analisi:vorrei farle notare ci sono esempi positivi di Italiani che danno lustro alla patria pur rimanendo a Londra come il laboratorio di pasta artigiana La tua pasta che con una trentina di collaboratori produce un’ottima pasta fresca con materie prime italiane ad Ealing ed ora sta pure esportando in 4 paesi.

  • Antonio |

    Analisi interessante, che in parte condivido.
    Ma quello che agli Italiani manca è soprattutto il senso della legalità, il rispetto delle regole.
    Il marketing non può fare miracoli.

  • LordBB |

    Ho un solido background di marketing, e sono italiano. Ma da quando lavoro a Londra ho dovuto rivedere il mio meotodo di lavoro: essere sintetico, pratico, messaggi semplici, ma sopratutto tanta organizzazione. L’ultima cosa e’ quella che in Italia e’ un lusso nell’imprese italiane. Mentre qui e’ un must.
    Questo articolo ha centrato in pieno il problema del sistema impresa-italiano.
    Ottimo articolo.
    Saluti

  • Daniele Meloni |

    Caro Marco,
    a inizio mese ho avuto la fortuna di fare da interprete a Bill Emmott in un incontro al Sole sul Made in Italy; lui ha fatto chiaramente capire che le dimensioni del nostro fare marketing, PR ecc non sono in grado di farci competere al di fuori dai nostri confini. Penso questo sia uno dei problemi. Ottimo pezzo!

  • claudio |

    Concordo pienamente con il Sig. Niada. Essendo stato diverse volte a Londra non ho potuto far a meno di notare queste catene come Pizza hut e Caffè nero, per riprendere due dei nomi citati, che hanno un grande successo pur avendo ben poco di veramente italiano, credo solo il nome. Questo campanilismo ci sta distruggendo, è un tarlo che rode le basi dei nostri potenziali successi; è un vero peccato non riuscire più ad avere la capacità di “fare impresa”, in particolar modo nei contesti internazionali in cui grazie all’indubbia qualità dei nostri prodotti, specie quelli alimentari, dovremmo avere ben pochi rivali.
    Ma forse il nocciolo della questione sta proprio nelle ultime righe del post…questo è un paese in cui nessuno legge! ragazzi, studenti, universitari, lavoratori, casalinghe e così via…nessuno ha più sete di cultura!! e senza cultura, in senso lato, non si va da nessuna parte.

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