Quale strada imboccherà la Gran Bretagna per uscire da tre anni di profonda crisi esistenziale? Sarà finalmente il 2011 l'anno della riscossa? Il Paese che all'inizio degli anni '2000 pareva avesse preso la guida in Europa in settori del futuro come finanza, tecnologie dell'informazione, biotecnologie, software elettronico, ricerca avanzata, musica ed entertainment, mercato dell'arte, architettura, design, insomma tutti quei campi che passano con il nome generico di industria della conoscenza, oggi non pare più godere della condizione necessaria e sufficiente per ritrovare la vitalità perduta. E ciò specialmente nelle povere regioni del Nord. La finanza, si sa, ė stata fortemente ridimensionata dal crack del 2008, mentre le altre aree non sembrano promettenti quanto in passato. Nelle biotecnologie i risultati sono lenti a venire, la musica, come l'editoria, minacciate da internet non riescono a ritrovare i volumi e margini del passato, il mercato dell'arte dipende molto dalla buona salute dell'economia mondale, come pure le tecnologie dell'informazione e il mondo dei media in generale hanno sofferto di una forte riduzione dei margini.
Con ottimismo tutto governativo, moltiplicato dalla sua abilità di uomo di pubbliche relazioni, il premier David Cameron, nel suo discorso di inizio anno a Manchester (non a caso la maggiore città del Nord), ha messo in chiaro che vuole fare del prossimo decennio il più dinamico sul fronte dell'imprenditorialità privata. Tradotto in parole povere, dal momento che la spesa pubblica ė in forte ritirata con un budget fatto da un mix di 75% di tagli e de 25% di aumenti delle tasse, l'unico settore che potrà venire in aiuto per colmare le lacune di creazione di valore aggiunto sarà inevitabilmente quello privato. L'idea è lapalissiana, ma ciò che ci domandiamo, per l'appunto, dopo le delusioni degli ultimi anni, è quanto, in Gran Bretagna, il settore privato sia dotato di dinamica propria sufficiente a ovviare alle carenze del settore pubblico per creare una nuova era in cui la struttura di produzione di ricchezza in Gran Bretagna subisca una trasformazione epocale. Tornando a Cameron, il premier ha riposto le speranze di salvezza in settori quali il turismo, le energie alternative e farmaceutica, oltre a citare l'universo indefinito delle piccole imprese che riceveranno incentivi ad hoc per ritrovare il dinamismo perduto. A noi paiono delle pie illusioni: l'energia alternativa viene infatti prodotta in gran quantità da macchinari prodotti in tutt'altri Paesi come Francia e Germania. Il turismo gode di buona salute ma trova il tempo che trova, se si eccettua l'incentivo una tantum che costituiscono le Olimpiadi londinesi del 2012. Quanto alle piccole imprese, molto dipenderà da quanto sapranno inventarsi con i propri spiriti animali al di fuori dei controlli del Governo. La ironica morale ė che forse ancora una volta la soluzione potrebbe venire dalla finanza, l'unico settore in cui la City ha mantenuto la massa critica sufficiente per farsi riconoscere dai cugini europei un ruolo indiscusso di preminenza. Un settore che inizia nuovamente a dare segnali di ripresa con una raffica di nuove assunzioni. Solo la farmaceutica in Gran Bretagna resta ancora a un livello internazionale. Certo, sarebbe bello che la Gran Bretagna, che ha smontato gran pezzi della propria industria per fare largo al dilagare del settore dei servizi, divenisse la nuova culla di un'industria capace di produrre energie alternative di nuova generazione. Ma nutriamo forti dubbi dato che sono tutte industrie con le radici nella meccanica ed elettrotecnica. Nel nucleare i francesi sono i maestri, mentre nelle apparecchiature eoliche i tedeschi la fanno da padrone. Quanto a mezzi di trasporto del futuro come i treni ad alta velocità, nuovamente il gioco è in mano a tedeschi e francesi. Insomma, quella di Cameron ci pare un poco una pia illusione. Cinicamente parlando, meglio a questo punto che la City torni a fare il proprio mestiere non solo come hub finanziario ma di tutta l'industria dell'informazione che le ruota attorno. Questa riflessione comunque ci spinge a una considerazione su quanto accade in casa nostra in Italia dove nessuna delle industrie o settori citati paiono avere un futuro. Solida nel fare fronte alla crisi anche in virtù di una struttura economica arretrata, più che di una politica chiaroveggente, che carte potrà giocare l'Italia per il futuro della propria economia? Qualcuno ha dei suggerimenti validi?