Capitalismo transazionale e relazionale

Se gli anni '80 e '90 hanno mostrato i limiti del vecchio capitalismo "relazionale" che, legato ai rapporti tra elite entro gli Stati nazionali, era autoreferenziale e non riusciva più  a tenere il ritmo dell'economia globale, la crisi finanziaria del 2008 ha messo a nudo i limiti del suo successore: il capitalismo transazionale. Quando lo stato nazione, come è capitato negli ultimi 20 anni, cede il terreno alla società mercato, liquida e informe, molte cose interessanti si manifestano.


Lo Stato mercato non premia infatti più la lealtà tra individui, l'imperativo categorico della cosa fatta bene fine a se stessa, la retribuzione del giusto lavoro, le gerarchie sociali, al limite gli stessi legami di amicizia e di appartenenza alla famiglia, al partito, all'associazione, al club o al Paese. Non esiste più nel lavoro il concetto del favore, più o meno disinteressato. Tutto passa, componendosi e scomponendosi in breve tempo per dare vita a una transazione a cui dare rapidamente una misurazione da valorizzare e monetizzare. Dopo lo scoppio della bolla, le menti piiù fini sono tornate a riflettere su questo tema, partendo dall'analisi dell'evoluzione delle banche d'affari, dalle boutique europee in auge trent'anni fa come Mediobanca, Rothschild e Lazard, per arrivare ai supermercati del danaro americani che tanto hanno condizionato la City di Londra. Non posso dare un giudizio di merito su quanto sta succedendo. Il vecchio ordine favoriva i più privilegiati ma era ferreo nei controlli come un'organizzazione mafiosa. Tutto girava dignitosamente e perfettamente come l'ingranaggio di un orologio. Il secondo modello è aperto, libero, ubiquo, perchè la gente si sposta continuamente,  ma spesso è privo di controlli e incoraggia l'irresponsabilità e la slealtà come abbiamo visto nei mille esempi di deragliamento di istituzioni finanziarie. Ma se la finanza è un interessante indicatore, facilmente misurabile nei successi e negli eccessi,  l'esempio dovrebbe essere allargato alla società intera, specie quella anglosassone, che a mio avviso si sta "mercenarizzando" al punto da promuovere sempre più incompetenza, inefficienza, superficialità e irresponsabilità. Londra è nel bene e nel male la punta dell'iceberg della società mercato.  Il capitalismo transazionale ha infatti bisogno di luoghi ampi e affollati in cui avvengano gli scambi. Cerca l'anonimato, i flussi, la transazione continua, la misurazione dell'efficienza sia in termini di bonus sia di "fees".  La clientela cambia continuamente, ogni occasione di lavoro diventa un colpo, il mercante da pescatore diventa cacciatore assatanato, il tempo operativo accelera per moltiplicare le opportunità, il breve termine impera, le proposte di business vengono fatte e disfatte a seconda delle opportunità.  Si ha a che fare sempre meno con persone ma con macchine, codici, numeri e procedure. Tutto all'insegna dei tagli ai costi e allo stesso tempo della beata illusione che l'automatizzazione della vita liberi tempo per noi stessi. A Londra non passa giorno che non vi arrivi una nota a casa in cui siete avvertiti che non vi arriveranno più bollette o avvisi per lettera, tanto comodi da prendere e archiviare, ma che dovrete andarveli a cercare in diversi siti internet dove dovrete per l'ennesima volta crearvi una password, un codice, un simbolo alimentando quel grande tumore numerico in cui siamo sempre più immersi e sommersi.  A volte viene da rimpiangere il noioso pizzicagnolo dell'angolo o il piccolo negozio dove bisognava pagare l'obolo della chiacchierata o subire l'offerta di cattiva merce se la relazione umana non girava per le corde giuste. Nell'asettico mondo in cui sempre più tocca andare a pagare alla cassa utomatica, dove i cetrioli hanno tutti la stessa dimensione  abbiamo raggiunto la democrazia totale del consumatore, la scelta infinita, la transazione pura e la solitudine collettiva.