L'inquinamento dell'inglese nella lingua italiana avanza inesorabile. Specialmente nel mondo del business (oops). Secondo un recente studio di Agostini Associati, società leader (oops) nel mondo delle traduzioni (translations?) e dell'interpretariato, l'utilizzo dei termini inglesi nel linguaggio commerciale è aumentato negli ultimi 8 anni del 773%, il che vuole dire che si è moltiplicato per otto. Il campione preso in esame è di 58 milioni di parole "prodotte" da 200 aziende italiane operanti in 15 diversi settori. Il 53% degli interpellati afferma che i termini inglesi sono di uso quotidiano nelle loro aziende e il 30% non ci trova nulla di strano. Anzi sono contenti perchè "fa moderno". Peccato che l'angliano o l'itanglese come pure l'anglian o britalian dall'altra parte della Manica (specie per i termini culinari) abbiano preso la tangente e creato spesso un mostro linguistico completamente alieno. Sia per neologismi che per pronuncia.
I termini più usati dall'angliano secondo il sondaggio sarebbero look, business e fashion. Quest'ultimo, ad esempio, se fate caso, viene inesorabilmente pronunciato dagli italiani con la e (feshion) mentre gli inglesi nel 99% dei casi pronunciano la a come noi: a. Un altro caso che mi viene alla mente è l'abuso del termine group da parte delle aziende italiane che probabilmente traducono l'equivalente di gruppo. E piace loro rilevarlo, perchè forse ingrandisce il perimetro di un'azienda ad altri ipotetici settori di attività. Andatevi a sfogliare il Financial Times o il listino della Borsa di Londra e di New York e non vedrete mai la parola "group" accanto a un'azienda che, accanto al nome semmai specifica con "holding" o "holdings" (abb Hdgs) laddove c'è una finanziaria controllante. Group esiste aziendalmente di rado (group of companies) e semmai ha un significato più terrigno e concreto come a group of people. Group è spesso contrapposto a individuals nelle visite a musei e monumenti o è spesso usato nell'accezione di groupie, un gregario, un fanatico un seguace, spesso fortunatamente soltanto di un gruppo rock. Insomma, quando gli innesti sono rapidi e abbondanti la gente straparla, come capita di converso agli inglesi quando parlano e scrivono ostinatamente di salami al plurale, Pompeii per la città sepolta, o curiosità come il mokaccino, un ibrido tra il caffé moka e il cappuccino o dicono al fresco quando intendono dire mangiare all'aperto, mentre da noi vuol dire stare in galera. Alcuni fenomeni sono inarrestabili e non c'è nulla da fare. Detto questo, devo dire che chi lavora nelle comunicazioni finanziarie come me non può non notare un netto miglioramento della comunicazione in inglese da parte delle aziende italiane, con website sempre meglio fatti e uffici media e di marketing agguerriti nel comunicare la loro immagine nel mondo. E' il prezzo del progresso. D'altronde, l'inglese, parlato da circa un miliardo di persone sarà sempre più destinato a stendersi come un manto sulle lingue nazionali, come queste nei secoli hanno fatto da ponte tra i dialetti. L'importante, se fosse possibile, sarebbe di imparare il nuovo senza perdere le proprie radici. Non è impossibile: pensiamo a popoli come gli olandesi o gli svedesi o, peggio, i finlandesi, che hanno lingue un poco astruse parlate da uno sparuto manipolo di individui che si esprimono da decenni con un ottimo inglese ma continuano a manternere fortemente la propria identità nazionale. Questa è la vera ricchezza. Conoscere gli altri ma restare se stessi