Le impressioni non fanno certamente statistica. Ma un'impressione forte va sempre indagata. E quella che ho e' piuttosto inquietante: negli ultimi 2 anni oltre una ventina di figli di miei amici sono approdati nelle Universita' britanniche non piu' per corsi di specializzazione, come capitava in passato, ma per iniziare dal primo anno il curriculum accademico.Che succede? I genitori sono diventati tutti ricchi? Le Universita' italiane sono d'un tratto diventate talmente scadenti da spingere a una fuga di massa? E, badate, non si tratta soltanto dei rampolli della classe dirigente come negli anni passati, ma anche di un numero crescente di esponenti delle classi medie. Che sta succedendo insomma? Perchè tanti giovani voltano le spalle al nostro Paese?
Ho cercato di indagare, sempre un po' alla buona, parlando con amici e conoscenti che operano nel mondo delle Università britanniche per capire meglio. Da un lato, in un mondo globalizzato, in cui la gente approfitta di una crescente mobilità grazie a una riduzione dei costi di trasporti e comunicazioni (i voli low cost sono ancora assai meno cari di quelli di linea, con buona pace per chi mi ha criticato nel post precedente) premia la caccia alle situazioni migliori su scala globale o, quantomeno,regionale. Forse non tutti hanno notato la recente graduatoria pubblicata dal supplemento The Times Higher Education da cui emerge che sulle prime 200 università del mondo una sola è italiana: quella di Bologna a quota 174. Diffido di questo genere di graduatorie che sono numerose e compilate con criteri poco comparabili tra loro. Mio figlio ad esempio va all'Università di Warwick che secondo una graduatoria del Financial Times è la sesta della Gran Bretagna, mentre dal ranking del Times tra le britanniche emerge nona (58esima nel mondo), assai dietro atenei che il Financial Times mette molto più in basso alla propria graduatoria. Dobbiamo inoltre fare i complimenti a Bologna che sale dalla 192esima posizione a cui era relegata. Ho comunque dei dubbi che Università come il Politecnico di Milano, la Normale di Pisa o la Bocconi non siano nemmeno citati. Il punto comunque è un altro: per quanto possa parere in declino, il mondo anglosassone la fa da padrone nel campo dell'educazione universitaria. Le prime 20 Università della graduatoria del Times sono tutte americane (13) o inglesi (5) con una canadese e una australiana. Nelle prime 35 finalmente entrano una svizzera (politecnico di Zurigo) e una francese (Ecole Normale Superieure): Se voi poteste scegliere con la possibilità di avere il mondo davanti e pensaste al bene del proprio figliolo in una società sempre più agguerrita e competitiva lo mandereste inevitabilmente all'Università o in America o in Gran Bretagna. Tanto più se si considera, come mi dicono i miei conoscenti, che mantenere un figlio all'Università in Gran Bretagna (gli Usa sono ben altra cosa con costi esorbitanti) può costare alla fine, voli low cost compresi, non tanto più di una decina di migliaia di euro l'anno tutto compreso. Un altro incentivo a "emigrare" insomma. Ma sono le nostre Università così scadenti? La risposta è no. E' vero che la corsa di ogni regione italiana ad avere la propria Università dietro l'angolo è andata a detrimento di poli di eccellenza, ma è anche vero, a giudicare da quanto ci dicono gli accademici italiani che si sono stabiliti in Gran Bretagna, che le nostre Università danno un'ottima preparazione, specie a livello undergraduate. Pochi dissentono su questo punto. Anche se il sistema sta peggiorando e, come mi dice un professore della LSE di Londra "le nostre università italiane hanno sempre più un atteggiamento di chiusura totale alle esigenze del mondo esterno". Ammettiamo comunque che la preparazione resti buona. E allora? Allora vanno considerati altri fattori, quali il prestigio di uscire da un ateneo anglosassone, l'immissione immediata nel mare magnum del mercato del lavoro anglosassone che conta 500 milioni di persone ed è flessibile, l'apertura mentale che dà un'esperienza all'estero portando ossigeno al cervello rispetto all'azoto del provincialismo del nostro Paese. Oltre all'abituarsi immediatamente a un ritmo di studio pressante che non permette pigrizie e deviazioni e premia il merito, preparando a vivere in una società meritocratica. Un'anticamera fatta però anche di sport, divertimento, vita in comune e immersa in un ambiente accademico easy going ben lontano dai baroni-tromboni di casa nostra. C'è poi sul fondo la questione del Paese che molti lasciano perchè si sentono soffocare. Come mi ha scritto una professoressa italiana che insegna in un'Università inglese:"l'Italia è rigida, opprimente, giudicante e pregiudicante, sempre più una sorta di deserto dei Tartari". Un giudizio forse eccessivo ma che ci lascia a riflettere amaramente.