Se si potesse vendere allo scoperto non solo azioni ma anche immobili, quadri, ville e yacht ci troveremmo di fronte al momento migliore. Miliardari e milionari di massa che hanno imperversato nell’ultimo ventennio hanno infatti subito perdite enormi dalla crisi finanziaria. A mano a mano che l’economia reale si deteriora sono costretti a un drastico ridimensionamento dello stile di vita. Se è vero che il patrimonio del teramiliardario indiano re dell’acciaio Lakshsmi Mital si è ridotto da 45 a 17 miliardi di dollari in 4 mesi, immaginiamo quanto peggio stanno agli altri. La vita in corsia di sorpasso in elicottero, yacht, ristoranti a tre stelle, con inservienti, assistenti e banchieri personali sta finendo. Ma quale l’impatto sui mercati? Le azioni sono scese, gli immobili stanno scendendo. Il prossimo a pagare il conto a mio avviso rischia di essere il mercato dell’arte, specie quella contemporanea, che in questi anni ha raggiunto valutazioni demenziali.
Pensiamo, con tutto il rispetto, alla recente asta delle opere dell’inglese Damien Hirst che, a metà settembre, in coincidenza con il crack della Lehman Brothers, ha segnato da Sotheby’s il record assoluto di 111 milioni di sterline (140 milioni di euro, 200 milioni di dollari… sì, avete capito bene) con il 98% di venduto. Vi pare una cosa sostenibile? I prossimi due mesi di aste a Londra e New York ci diranno, ma la sensazione è che non tiri aria buona. Già all’asta di arte contemporanea cinese promossa da Sotheby’s il 5 ottobre le cose sono andate male, con due terzi di invenduto e autori come Zhao Wuji che ha battuto al 10% meno del prezzo base di 587.500 dollari o le opere di Zhang Xiaoiang e Yue Minjun che non le ha volute nessuno. Ricordiamo che nel 2006 una sola collezione di paesaggi di Zhang vendette a 24 milioni, molto più del totale delle vendite di Hirst lo stesso anno. Ricordiamo inoltre che l’economia cinese è l’unica ad avere ancora prospettive di crescita robusta. Peraltro, secondo uno studio del Royal Institute of Chartered Surveyors, la parte bassa del mercato dell’arte in generale, quella bazzicata dalla classe media, sta franando per le opere al di sotto delle mille sterline di valore. Solo quelle al di sopra delle 50mila tiene, quella per intenderci, dei super-ricchi. Ma le loro risorse si stanno prosciugando e con esse sono pronto a sommettere che crolleranno i prezzi dell’arte contemporanea dove un Damien Hirst ha surclassato artisti come Rembrandt, Durer o lo stesso Van Gogh. Peraltro se uno crede ai segnali premonitori, l’opera di Hirst battuta con il prezzo più alto all’asta (10,3 milioni di sterline, pari a 13 milioni di euro) è stata Il vitello d’oro, quello che gli ebrei idolatravano prima che Mosè scendesse dal Sinai portando i 10 Comandamenti. Chissà… forse Hirst si è beffato dei suoi stessi compratori facendoli rispecchiare in una chimera. Ai tempi, Sir Peter Maxwell Davis, il compositore di Corte della Regina, commentò l’asta dicendo che < ormai l’arte è ridotta a puro mercimonio, un fenomeno di entertainment in cui si mescolano opere dal carattere semplice e iconografico con l’investment banking >. Ora che i banchieri sono in rotta che resterà dell’arte spettacolo?