Non passa giorno senza che il premier britannico Gordon Brown abbatta un record negativo di popolarità. Domenica 13 aprile un sondaggio del Sunday Times riferiva che non si vedeva un calo di consensi così verticale per un leader politico dagli anni ’30, dando ai laburisti il 28% delle preferenze contro un 44% dei conservatori e un 17% dei liberaldemocratici. Il Financial Times ha rincarato la dose il giorno successivo con un sondaggio da cui è emerso che tra tutti i leader occidentali Brown è quello in cui i concittadini hanno minore fiducia nella gestione dell’economia: il Governo britannico ottiene infatti un 32% dei consensi rispetto al 52% di quello tedesco, il 51% degli Usa, il 50% della Francia, il 46% dell’Italia e il 36% della Spagna. L’ "Iron Chancelor", il cancelliere di ferro, l’architetto del miracolo economico britannico a cui continua a fare riferimento per schermarsi dalle crescenti critiche, pare ormai un ferrovecchio arrugginito.
Cosa è successo? Sicuramente la crisi finanziaria globale "made in Usa" non aiuta. E sicuramente il fatto che la crisi sia preminentemente finanziaria rischia di colpire un Paese che sulla finanza ha costruito la propria fortuna negli ultimi 20 anni. Ma la paranoia che sta pervadendo gli inglesi dopo i primi cedimenti dei prezzi delle case e il rischio che il bene rifugio per eccellenza su cui avevano costruito il loro benessere inizi a sgretolarsi sta creando un clima di acredine e rivalsa contro il Primo ministro. Un clima che i rivali conservatori cavalcano ad arte. Il cancelliere-ombra George Osborne ha detto oggi in un discorso programmatico sull’economia che la reputazione di Brown < è ormai a pezzi > e che la trimurti su cui Brown ha basato il proprio successo: stabilità, prudenza e competitività < è crollata in una pila di macerie >. Da giorni The Guardian, quotidiano di simpatie laburiste riferisce dello scontento nel partito nei confronti del leader. La goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso all’interno della sinistra del labour che finora lo aveva sostenuto è l’abolizione dell’aliquota minima del 10% che sfavorisce i redditi più bassi ora tassati tutti con quella media del 20%. Molti per la verità godono di crediti di imposta ma è un fatto che numerose categorie si trovano ora assai peggio. I media iniziano a giocare un gioco crudele, riferendo degli scatti d’ira dietro le quinte del premier, che pare abbia l’abitudine collerica di scagliare il telefonino quando qualcosa lo contraria. Alienato l’elettorato, alienata la sinistra del partito, alienati i ricchi stranieri che fanno le valigie dopo l’introduzione di una tassa sui non domiciliati, alienati i cugini europei che vede come estranei salvo il presidente francese Sarkozy con cui fortunatamente ha rilanciato con successo le relazioni, ora Brown punta al riscatto con un viaggio in America che comincia il 15 aprile. Ma anche qui i cinici non hanno mancato di segnalare che la visita, durante la quale Brown discuterà con Bush di temi seriosi come la crisi finanziaria e il modo di risolverla previo un summit seriosissimo con i capi della banche inglesi, rischia di essere completamente messo in ombra dall’arrivo del Papa Benedetto XVI negli stessi giorni. Il cattolico Papa farà ombra al presbiteriano Brown. Le ragioni dello spirito premieranno su quelle secolari. Con buona pace per il premier britannico che forse sperava un recupero di popolarità apparendo accanto a Bush intento ad aggiustare i destini economici del mondo. Una capacità di cui pare ormai essere rimasto l’unico sostenitore di se stesso.