Quando, lo scorso 27 giugno, Gordon Brown divenne primo ministro succedendo a Tony Blair, un commentatore disse: "The future is Brown". La battuta giocava con le parole di una celebre campagna pubblicitaria dei telefonini Orange ("The future is Orange") e allo stesso tempo prendeva in giro Brown, un uomo cupo, serio, grigio e ossessionato dal desiderio di tenere tutto sotto controllo.
Per questo, quando prese le consegne affermando che voleva cambiare musica rispetto allo stile presidenziale di Blair molti rimasero perplessi. Nel suo programma di Governo, Brown disse che voleva mettere fine alla gestione pirotecnica di Blair facendo spazio a una gestione collegiale. Oltre a dare più poteri al Parlamento e più voce ai cittadini, tanto da delineare una riforma con una carta scritta dei diritti un po’ sulla falsa riga del Bill of Rights americano. E poi basta con l’immagine, il marketing, le trovate a effetto, le menzogne che avevano minato la credibilità del Governo. Al "mediterraneo" Blair, solare, sorridente e un po’ cialtrone, Brown opponeva la probità di figlio di un pastore presbiteriano, pianificatore e affidabile, come aveva dimostrato con 10 anni di boom economico.
Gl inglesi gli hanno concesso inizialmente fiducia. Di più: i primi cento giorni del Governo Brown hanno lasciato tutti lietamente sorpresi, tanto che i media avevano battezzato il nuovo premier "Flash Gordon", ubiquo come l’eroe dei fumetti: un mega attentato terroristico sventato, altri tentativi bloccati, un pronto intervento che ha stroncato sul nascere un’epidemia di afta epizootica, un intervento deciso che ha domato una tremenda alluvione al Nord d’Inghilterra, e altre due epidemie al bestiame bloccate sul nascere. A settembre Brown volava sopra il 40% nei sondaggi contro il 30% del rivale conservatore David Cameron, bollato come un peso piuma, tutto immagine e poca sostanza. In settembre per Brown la tentazione di indire elezioni anticipate per "finire" il moribondo Cameron divenne forte: una vittoria avrebbe lasciato i conservatori fuori dalla stanza dei bottoni per un’altra legislatura. Ma un abile contrattacco di Cameron al congresso del proprio partito in cui sfidò coraggiosamente Brown, annunciando una serie di proposte di riforma, rovesciò la situazione in brevissimo tempo. Il giovane David conservatore riusciva a ridurre talmente le distanze nei sondaggi dal Golia-Brown laburista che questi, spaventato, decideva di non dare battaglia elettorale.
Da allora per Brown sono iniziate le dolenti note. Prima un pre-budget, presentato dal nuovo Cancelliere Alastair Darling, che copiava sfacciatamente le proposte dei conservatori, ha alimentato per la prima volta dubbi sulla competenza del Governo. Poi la crisi della banca Northern Rock, con i depositanti in coda agli sportelli. Poi la perdita nella posta interna del Fisco dei dati di 15 milioni di cittadini. A cui è seguita la rivolta di 5 ex stati di capo maggiore che hanno accusato Brown di fergarsene delle Forze Armate. E infine, in questi giorni, lo scandalo delle donazioni illegali al partito laburista da parte dell’immobiliarista David Abrahams che ha agito tramite prestanome. Uno scandalo su cui ha aperto un’inchiesta la polizia e che rischia di colpire duramente il partito. Come un orso ferito, Brown ha continuato goffamente a difendersi dicendo di essere incappato in una serie di incidenti e ha chiesto di essere giudicato per la sua competenza economica. Purtroppo, anche su questo fronte, le cose non si mettono bene: il mercato immobiliare sta dando segnali di cedimento e il Governatore della Banca d’Inghilterra, Mervyn King, ha detto che l’economia sta andando verso un netto rallentamento.
Insomma, le nuvole all’orizzonte continuano ad addensarsi e gli inglesi iniziano a domandarsi seriamente se Brown, che ha fatto di tutto per diventare Primo ministro accelerando l’uscita di scena di Blair, sia ora all’altezza del compito.