Le apparenze sono salve. Almeno per adesso. Un nuovo Governo conservatore è stato formato in tempi relativamente rapidi. Alla guida c’è Theresa May, sicuramente una delle migliori professioniste rimaste in pista a cui il partito ha affidato le redini a grande maggioranza. La forma, a cui gli inglesi tengono molto, è stata assicurata e i mercati hanno tirato un respiro di sollievo. Ma la strada per approdare a un nuovo rapporto tra il Regno Unito e i suoi partner europei è lunghissima, buia, irta di ostacoli e, specialmente, di imprevisti, che sbucano a ogni curva come in un videogioco. Col passare del tempo, infatti, ci si rende sempre più conto che la decisione di lasciare la UE è stata un salto nel vuoto, provocato dalla spinta di un gruppo di demagoghi, tra l’altro estremamente variegato nelle motivazioni, che è stato abile a parlare alla pancia della gente ma non aveva la più pallida idea di dove stesse portando il Paese. Non aveva infatti una visione alternativa pratica, neppure una pallida idea di scenari, per quanto vaghi, che avrebbero potuto realizzarsi. Il loro slogan si è basato sull’idea che l’energia liberatoria della Brexit avrebbe portato il Paese verso orizzonti luminosi. La Terra Promessa del post Brexit avrebbe sanato tutti i sacrifici della traversata nel deserto. Non è un caso che molti dei fautori del leave hanno ammesso che per alcuni anni il Paese potrebbe stare peggio prima di stare meglio. Ma quanto durerà il Purgatorio? E quanto sarà amaro?
Peccato che i patriarchi che avrebbero dovuto portare il popolo britannico verso la meta si siano dileguati. Il che rende la situazione ancora più complicata, considerando che l’ex-premier David Cameron, dopo avere lanciato una scommessa temeraria con il referendum, non aveva a propria volta preparato un piano B altro che quello di lasciare nelle grane i suoi successori. Theresa May, che va ricordato era per il remain, seppur tiepidamente, ha fatto buon viso a cattivo gioco, creando un nuovo Governo in tempi rapidi che dia una parvenza di unità e allo stesso tempo di rappresentatività delle varie componenti politiche del referendum. Il che era sacrosanto. Ma dietro la facciata molti hanno iniziato a vedere forti incrinature se si interpretano le sue decisioni come una sorta di regolamento di conti tra fazioni.
Secondo i più maliziosi infatti, mettere in prima linea i sostenitori della Brexit, come Boris Johnson agli Esteri, David Davis all’apposito ministero per il Brexit, Liam Fox al Commercio Estero e Andrea Leadsom (la rivale finale della May) all’Ambiente e Agricoltura avrebbe un significato ben chiaro. Dietro all’onore di mettere i più eurofobi a trattare l’uscita dalla UE, si prospetta infatti chiaramente l’onere di schierarli sulla linea del fuoco, esponendoli al rischio di continue gaffe, errori e frustrazioni. Se si eccettua Liam Fox, un ex ministro della Difesa che anni fa dovette dimettersi perché utilizzava in modo disinvolto le facilities del ministero portando a spasso un amico spacciato per consulente, gli altri tre sono assai inesperti in materie complesse come i negoziati commerciali, l’impatto della Brexit sull’agricoltura inglese o, nel caso di Boris Johnson, che ha collezionato una serie infinita di gaffes con varie autorità straniere, la creazione di una strategia diplomatica che gestisca un tormentato rapporto con la UE e ne crei una alternativa su scala mondiale. Per Johnson, inviso alla Commissione da quando era corrispondente del Telegraph a Bruxelles, da dove denigrava regolarmente gli eurocrati, creare un nuovo rapporto sarà una strada tutta in salita.
Ma dato che non possiamo pensare che il gioco finale della May sia di mandare il Governo in convulsione, quale motivo costruttivo detterebbero queste sue scelte? Le ipotesi si sprecano: c’é chi sostiene che una volta che emergerà che i fautori della Brexit non saranno in grado di dare un’alternativa concreta, saranno costretti a dimettersi in condizioni di forte indebolimento. Se i più convinti eurofobi non riusciranno a spuntare una relazione soddisfacente con l’Europa si aprirebbero nuovi scenari di ripensamento. Altri accusano però la May di mettere in primo piano considerazioni di politica interna per tenere unito il partito a rischio di danneggiare fortemente la statura del Paese all’estero.
Intanto, giusto per dare un’idea del lungo tragitto a cui ci troviamo di fronte, basti rilevare che l’uscente ministro per l’Europa del Governo Cameron, Oliver Letwin ha candidamente ammesso in un’intervista che il Foreign Office non dispone di alcun diplomatico con esperienza in trattative commerciali, dato che sono tutti a… Bruxelles. Secondo le stime più conservative bisognerebbe crearne rapidamente alcune centinaia. Nigel Farage, guru in primis della Brexit, ha dichiarato da simpatico facilone quale è che non c’e’ problema e che basta pagare dei buoni professionisti che possono venire da ogni parte del mondo (non ha mai citato un Paese europeo). Gli esperti dicono che sarà un compito erculeo. Forse per questo Londra sta esitando a fare scattare l’articolo 50 della UE per avviare i negoziati? Pare piuttosto naturale che in mancanza di negoziatori sarà difficile negoziare.