L’inarrestabile caduta della sterlina (2)

Questo commento sostituisce quello scritto lo scorso 17 novembre, quando una sterlina a 86,6 pence per euro pareva avere raggiunto un minimo impensabile. Avevamo allora ipotizzato che la forte contrazione della crescita britannica prevista per quest'anno tra l'1,5% e il 2% e il calo dei tassi previsto a livelli inferiori all'1% avrebbero inflitto ulteriori cedimenti alla divisa britannica. Da allora questa è scesa ulteriormente, fino a toccare il 29 dicembre il minimo storico di 97,8 pence, per poi assestarsi in questa prima metà di gennaio attorno a 90 pence. Forse il taglio dei tassi dell'eurozona di un punto al 2% il 15 gennaio e quello più timido della Banca d'Inghilterra dal 2% all'1,5% la settimana prima è servito a frenare la caduta del pound. E' possibile che il recente rimbalzo si stabilizzi? E' presto per dire, ma è un fatto che il ruolo di "apripista del peggio" che l'economia britannica ha esercitato in questi mesi nei confronti dell'Eurozona si va stemperando.

 

Per quanto gli economisti concordino nel ritenere che l'economia britannica farà peggio delle altre grandi economie europee nel 2009, con la possibilità di una contrazione fino al 2,5% del pil, i segnali di un deterioramento degli altri paesi dell'eurozona sono sempre più preoccupanti a fronte del crollo dell'export che tradizionalmente sostiene Paesi come Italia e Germania. Il calo della sterlina di questi mesi ha spinto molti a sostenere che, se la Gran Bretagna fosse entrata nell'euro, non si troverebbe ora in pessime condizioni. Ma la reazione di pancia degli inglesi, che ancora oggi per due terzi si oppongono alla valuta europea, è forse più sensata di molte sofisticate ipotesi. Pensiamo, dicono i difensori del pound, in quale gigantesca bolla immobiliare la Gran Bretagna sarebbe finita se avesse mantenuto in questi anni i propri tassi in linea con l'euro e cioè tra un punto e un punto e mezzo percentuale più bassi. Pensiamo oggi quanto peggio rischierebbe di fare l'economia inglese se la Banca d'Inghilterra avesse seguito la cautela della Bce, tagliando più tardi e più timidamente il costo del danaro. E ciò considerando che in questo momento Eurolandia più che essere un esempio per Londra deve badare a mantenere la coesione in casa propria dove vi sono forti tensioni, con Paesi come la Grecia la Spagna e l'Irlanda che si trovano estremamente sotto pressione. Pensiamo infine all'effetto benefico sul turismo e gli acquisti dall'estero che il calo della sterlina sull'euro ha esercitato in Gran Bretagna. E' vero, diranno molti, sono tutti palliativi per un'economia che strutturalmente deve risolvere problemi importanti, dato che è stata troppo esposta alla finanza mentre è andata de-industrializzandosi e ora è in particolari difficoltà rispetto ad altri Paesi. Ma la domanda è: se la Gran Bretagna sta male, gli altri Paesi europei stanno veramente molto meglio?