Forse per Boris Johnson non siamo ancora alla fine, ma certamente ci siamo vicini. Alla semi-finale della sua esperienza al Governo ci è infatti arrivato, qualificato con tutti gli onori. La scoperta da parte dei media di una serie di party avvenuti negli uffici governativi in pieno lock-down nel 2020 e 2021, quando la gente stava chiusa in casa e non riusciva a vedere neppure i propri parenti moribondi negli ospedali, esemplificata dall’immagine di una regina solitaria sperduta su un banco di Westminster Abbey al funerale del marito Filippo lo scorso aprile, ha sollevato una ondata di indignazione nel Paese. Un’ondata talmente forte da lacerare lo stesso partito di Governo. Una parte dei Tory, compresi illustri rappresentanti parlamentari, ha iniziato a chiedere al Primo Ministro di andarsene prima che i danni all’immagine del governo diventino irreparabili. Non siamo ancora alla guerra aperta nel partito, ma una seria guerriglia è incominciata, con un numero crescente di parlamentari apertamente critici verso Johnson che hanno preso le distanze da un leader divenuto imbarazzante. Il mantra recitato ossessivamente dai media di un Governo elitario, lontano dalla gente comune è ormai difficile da ignorare.
Johnson sta cercando di rimanere in sella a tutti i costi, ricorrendo anche metodi brutali, ricattando compagni di partito e chiedendo ai membri del Governo prova di lealtà che finora pare assicurata. Alcuni ministri, pero’ iniziano a compiere azioni di smarcamento, per evitare di rimanere coinvolti in un improvviso crollo dell’esecutivo e per potersi presentare con un colpo d’ala candidati alla leadership. A rimettere piu’ di tutti sono i deputati tory che avevano guadagnato seggi al nord del Paese, quello operaio, rimasto in mano ai laburisti per decenni, che dopo una illusione iniziale di un riscatto in versione destra-populista si sta accorgendo che il partito di Governo non rappresenta i propri interessi. Johnson è in picchiata nei sondaggi, l’emergenza Covid inizia a stemperarsi e la pochezza di idee e di visione del futuro del Paese inizia a emergere in modo chiaro. La destra del partito, quella che lo ha sostenuto a spada tratta perché riconoscente del fatto che Johnson sia riuscito a realizzare la Brexit, ora moltiplica le critiche contro un leader a loro avviso reo di avere aumentato la spesa pubblica a dismisura, tradendo gli ideali cardine del conservatorismo.
In un periodo di emergenza, come quello seguito alla Brexit e al Covid, in cui sono contate di piu’ le misure tampone, le decisioni a effetto, una recita politica a soggetto che, sul fondo, in tutto il mondo, ha dovuto fare i conti con la dura realtà imposta dalla scienza, anche un centometrista dell’improvvisazione, un orecchiante delle ideologie, un narciso che ha servito principalmente se stesso come Johnson ha avuto diritto di cittadinanza portando folklore e un tocco d’incoscienza sulla scena politica, complice una opposizione laburista quasi inesistente.
Ora che il Paese si trova a dovere costruire il proprio futuro nella scomoda scenografia del dopo Covid e dopo Brexit, con rapporti ai minimi con la UE, freddi con gli USA di Biden e con pochissimi appigli con altri Paesi, che badano sempre piu’ ai propri interessi, il Regno Unito ha bisogno di una bussola e un ripensamento non solo del proprio ruolo nel mondo ma dei propri assetti istituzionali, a cominciare dalla monarchia, guidata da una vecchia regina, minata dagli scandali sessuali del principe Andrea. All’interno del Paese si moltiplicano peraltro i ripensamenti sulla bontà del sistema elettorale e la rappresentatività che questo garantisce.
Boris è stato un’anomalia del partito conservatore, un mattacchione che, adottando l’estetica del rappresentante-tipo del partito di Churchill, ha suscitato grande simpatia verso i propri pari con la sua eccentricità, ma al contempo ha brutalmente evirato l’immagine dei Tory in termini di competenza. Il suo pressapochismo, la leggerezza, la menzogna infantile e la negazione della realtà sono ormai un marchio di fabbrica riconosciuto. Uno stigma che i conservatori tradizionali e competenti, marginalizzati in questi anni, stenteranno a ricostruire.
La settimana entrante si rivela cruciale per il Primo Ministro. A breve avremo le risultanze di un’inchiesta sui festini governativi da parte di Sue Gray, un alto funzionario che lavora nell’ufficio del capo di gabinetto. Per quanto poco indipendente per la natura del suo ruolo (il Governo che investiga il Governo, per quanto tramite un un alto burocrate e non un politico) la Gray sarà costretta a rivelare una serie di informazioni che si rivelerà altamente imbarazzante per Johnson. L’indignazione della gente verrà alimentata da conferme ufficiali. Per Johnson si avvicina la resa dei conti. Ma è ancora da provare che, davanti a tanto imbarazzo, egli accetti di chinare il capo e andarsene. Infatti nel suo Governo, tranne una paio di leader emergenti come la Foreign Secretary Liz Truss e il cancelliere Rishi Sunak, siedono in massima parte dei pesi piuma che faticherebbero a ricomporre un partito che rischia di entrare in convulsione tra mille lacerazioni. Johnson potrebbe quindi decidere di tirare dritto per salvarsi la pelle, a costo di danneggiare ulteriormente il suo partito legandolo a sè e trascinandolo verso il baratro