Nel secondo trimestre dell’anno l’economia britannica è letteralmente crollata. La contrazione del 20,4% rappresenta il peggiore dato trimestrale dal dopoguerra (il secondo fu del 2,7% nel 1955 e il terzo del 2,2% nel 2008 a seguito del crack finanziario) e segue un calo del -2,1% nel primo rimestre dell’anno. Due trimestri consecutivi di calo significano recessione. Dall’inizio dell’anno l’economia si è dunque ridotta del 22,5%, riportando la dimensione del Pil a quella di 17 anni fa, nel lontano 2003. E’ il peggiore crollo della storia del Paese. E il peggiore tra i Paesi industrializzati.
La buona notizia e’ che il peggio è alle spalle dato che, dopo una ripresina in maggio, in giugno l’economia ha rafforzato il rimbalzo con un +8,7%. Il che porta la caduta pre-Covid al 17% rispetto a febbraio, prima che il virus flagellasse le isole britanniche e fuori dall’abisso del -30% di fine aprile. Quanto questo recupero durerà e si consoliderà dipende, come negli altri Paesi, dall’andamento della pandemia in autunno. Se non ci saranno netti peggioramenti, nelle attuali condizioni la Banca d’Inghilterra prevede una recessione del 9,5% per l’intero 2020 in virtù della ripartenza del secondo semestre e un recupero completo alla fine del 2021. Secondo la Banca centrale le cicatrici del Covid sull’economia resteranno però evidenti fino alla fine del 2023, quando l’economia britannica sarà ancora 1,5% più “piccola” di come sarebbe stata se non ci fosse stata la pandemia.
Come mai gli inglesi hanno fatto talmente peggio rispetto agli altri Paesi evoluti? Il primo motivo è strutturale, ossia l’economia britannica è fortemente orientata sui servizi, che pesano per oltre l’80% del pil. Il Covid ha picchiato durissimo su questo settore macellando attività come la ristorazione, ospitalità, tempo libero, svago, accademia. Insomma 3/4 della caduta del pil nel periodo aprile-giugno è stato causato dal blocco dell’attività in queste aree dell’economia. Il resto è venuto dalla paralisi nel mondo delle costruzioni con il blocco dei cantieri.
L’altro motivo del tracollo va purtroppo ascritto alla cattiva gestione da parte del Governo Johnson che, pur avendo un mese di vantaggio sul resto del Continente per il tardato arrivo della pandemia, la ha gestita nel modo peggiore, ritardando il lockdown e trovandosi quindi costretto a prolungarlo, magnificando il danno sull’economia.
Al danno economico va peraltro aggiunto quello sociale. Ufficialmente finora sono andati persi oltre 700mila posti di lavoro da febbraio. Ma è difficile al momento misurare adeguatamente dato che molti disoccupati in tale situazione di emergenza non si sono dati la pena di cercare lavoro, non figurando nelle statistiche. Basti però rilevare che da marzo le richieste delle banche alimentari sono aumentate del 60%, rendendo dramatica la situazione in un Paese in cui un quarto dei bambini vive sotto la soglia della povertà. Non a caso, uno dei drammi che si sta consumando, è dovuto dalla chiusura delle mense scolastiche che, per numerose famiglie, costituiscono una forte fonte di sostentamento per i bambini.
Non va peraltro dimenticato che in Europa il Regno Unito è il Paese che ha subito il numero di morti di gran lunga più elevato a causa del Covid. Il che, in gran parte, avviene a causa di una vulnerabilità più elevata delle classi disagiate, che si sono presentate all’appuntamento con la pandemia in condizioni di salute peggiori dei loro pari europei. E ciò malgrado il sistema sanitario britannico (NHS) sia ancora una struttura che, seppure a fatica, è riuscito a tener botta nel momento più acuto della crisi. Un sistema comunque sottoinvestito, con decine di migliaia di infermieri e migliaia di medici mancanti, che all’inizio della crisi mancava di equipaggiamento base come mascherine guanti e camici.
La lezione britannica del Covid non ha potuto non far correre il parallelo con gli USA dove, a causa di un sistema sanitario fortemente sbilanciato, è in corso una vera e propria mattanza dei rappresentanti classi disagiate, che non godono di una minima protezione sanitaria. Il modello anglosassone, che mira alle eccellenze, da un lato genera punte di diamante nella ricerca medica ma dall’altro ignora i bisogni della gente comune a cominciare dalla medicina preventiva o dal sostegno dei medici di base che ormai è evaporato e costringe alla scelta tra restare a casa con i rischi del caso o ospedalizzarsi quando ormai è troppo tardi. Un sistema economico-sociale che non protegge la salute dei cittadini è profondamente da ripensare. Con buona pace di tutti coloro, compreso il sottoscritto, che ancora fino a qualche anno fa consideravano il modello anglosassone come vincente. Un modello che peraltro, con l’arrivo di Johnson, si è completamente sconfessato, varando un programma di spese pubbliche faraoniche, quasi socialisteggianti, per recuperare in tutta fretta 10 anni di tagli e risparmi promossi dagli stessi conservatori in veste liberista. Tagli che, dopo la legnata della crisi del 2008, hanno infierito ancor più sulle classi basse, che si sono presentate postrate e indebolite all’appuntamento col Covid.