L’ultimo aneddoto della serie lo ha raccontato alla radio l’ex premier Tony Blair, riferendo che giorni fa si è fatto dare lezione da un aggressivo interlocutore che lo ha accusato di ignoranza e incompetenza, malgrado Blair cercasse di eccepire che la sua argomentazione si basava su decenni di esperienza politica, tra cui dieci da primo ministro. Invano, l’interlocutore voleva saperne di più. L’accesso attraverso il web ai mezzi di comunicazione di massa ci ha resi tutti esperti e, in particolare, tutti giornalisti. I giornalisti, che erano una volta una casta privilegiata che aveva il monopolio della produzione e valutazione delle notizie, oggi sono oggetto di critiche e scherno. La loro professionalità, come quella dei politici, è messa in discussione, anche se hanno anni di esperienza alle spalle. Tutti noi oggi riceviamo informazioni e immagini in tempo reale, come una volta solo i giornalisti ricevevano in redazione. Il nostro filmato di un evento può fare il giro del mondo. Possiamo, attraverso le chat room, esprimere la nostra opinione in piena libertà (nei limiti della legge o delle regole di un website), dibattendo alla pari con importanti personaggi, come Blair, sotto gli occhi di migliaia di persone. Siamo ormai tutti persone pubbliche, celebrity più o meno importanti, con il nostro profilo su FB, Twitter, Instagram, la nostra identità e le nostre frequentazioni. Personalmente trovo che questa libertà e identità conquistata sia una cosa meravigliosa e un incredibile esempio di democrazia diretta che ci permette di metterci in contatto con gente di altre culture, opinioni e, se si hanno veramente cose importanti da dire o mostrare, avere potenzialmente un impatto immediato su scala planetaria. Penso a quanta poca libertà aveva un giornalista professionista ancora 20 anni fa di esprimere liberamente un’opinione, date le costrizioni della linea di un giornale, degli interessi della proprietà e, a volte, le pressioni se non minacce esterne di potenti lobbies politiche e economiche, o di personaggi ingombranti.
Da allora, nel giro di 15 anni, molto è cambiato. La crescita dell’informazione online ha sì disintermediato i giornali tradizionali, ma ha creato d’altra parte solo poche realtà online alternative altrettanto importanti, quali l’Huffington Post, per fare un esempio. Un motivo è che i giornali stessi sono entrati pesantemente nel mondo online, occupando quello spazio, lasciando margini esigui a piccole realtà alternative, certamente indipendenti, ma con poco seguito e, peggio ancora, scarsi capitali. Gli stessi network TV, laddove non danno notizie 24/7, hanno divisioni di informazione scritta online che presidiano tutto il giorno e la notte la rete, riprendendo notizie dalle agenzie. Ma il cambiamento maggiore nel modo in cui la gente riceve informazioni è avvenuto proprio con i social network, che sono alla portata di tutti e raggiungono tutti in tempo reale e, come abbiamo visto con il caso di Cambridge Analytica, in modo diabolicamente selettivo.
Il modo in cui si raccoglie l’informazione, che è il vero giornalismo, ossia il lavoro di reporting, il sale della professione, è rimasto identico. Si basa sulla conoscenza approfondita da parte di un professionista di una materia che questo segue, su una rete di contatti al più alto livello possibile su quella materia, sulla forte curiosità e energia da parte del giornalista e sulla sua accuratezza per evitare alla organizzazione media per cui lavora costi legali per cause di diffamazione. Il problema è che trovare o coprire delle notizie in modo efficace costa molti soldi. Bisogna parlare, incontrare, viaggiare, verificare contro-verificare, muoversi abilmente tra la gente per evitare chiusure o rancori, avere un’adeguata assicurazione in caso di azioni legali. Le TV sono il mezzo più pesante, come si dice in gergo, perché implicano i materiali più costosi e ingombranti e teams di tecnici. Il loro vantaggio è che sono affidabili perché ciò che si vede, a meno di trucchi, non si presta a interpretazioni e ha un impatto globale massiccio e immediato. Con l’abbattimento dei costi tecnologici, le TV sono ormai sempre più leggere e i giornalisti TV spesso fanno reportage da soli o con un solo assistente e, grazie alla nuova agilità, possono coprire temi sempre più esotici e disparati. Il giornalismo scritto è quello che ha sofferto di più. La raccolta della notizia è invariata ma, a meno di uno scoop o di rivelazioni frutto di una paziente investigazione in virtù di una rete di contatti eccellente, tessuta con pazienza in tempi lunghi, le notizie, una volta “decollate”, circolano, come pure le immagini, su diverse piattaforme allo stesso modo e senza alcun valore aggiunto. Molti grandi giornali dati i costi sempre più ridotti sono entrati a loro volta nel mondo del video, convergendo in parte con il mondo delle TV.
Una volta i giornalisti della carta stampata erano una casta privilegiata al cui interno, accanto a dei fuoriclasse, convivevano i lazzaroni, che vivevano di rendita. Le notizie giungevano infatti in massima parte dalle agenzie, che facevano un anonimo lavoro di fanteria, con un esercito di giornalisti sguinzagliati a cercare e registrare fatti. I giornali o le TV, in virtù di redazioni più ridotte, dovevano inevitabilmente concentrarsi su temi limitati. Giornali e Tv diventavano dunque, a parte i propri prodotti genuini, “fatti in casa”, in buona parte centri di confezionamento e distribuzione al pubblico di prodotti d’agenzia. Un gruppo di giornalisti di punta di una testata cercava o riferiva notizie in concorrenza con le agenzie, spesso fornendo un servizio migliore, anche in virtù di maggiore talento letterario, ma tutte le notizie che non si potevano scovare venivano riprese dalle agenzie, a cui tutti i giornali erano abbonati con un profumatissimo contratto. Molti giornalisti titolavano, rivedevano ed eventualmente tagliavano i testi. Molti riprendevano notizie note, aggiungendo valore, a loro merito, con verifiche e approfondimenti. Poi c’era la privilegiata casta dei commentatori, che dava un significato ai fatti della giornata. I commenti erano spesso appaltati anche a collaboratori esterni, esperti che avevano l’autorità per avere voce in capitolo. Le opinioni erano o di carattere analitico o fazioso. Alla prima categoria cercavano di aderire i giornali cosiddetti indipendenti mentre alla seconda, più ideologica appartenevano i giornali di partito. Molto di questo impianto esiste ancora oggi ma è percorso da crescenti forze di cambiamento.
L’abbattimento dei costi di distribuzione a valori vicini allo zero (una volta un giornale pagava l’abbonamento a un’agenzia 200-300mila euro all’anno) permettono oggi a tutti in tempo reale l’accesso all’informazione che arriva ininterrottamente sui telefonini di ognuno attraverso i social media. Al pubblico non resta che dedicarsi alla nobile opera del commentatore nelle chat room. Ma questo cambiamento implica due grossi inconvenienti. Il primo è che, a differenza dei giornalisti, le notizie che il pubblico riceve non può verificarle, perché nessuno ha gli strumenti per farlo, non avendo i contatti con le fonti che ha un giornalista. Quindi deve darle per buone per commentarle. Il secondo è che, ammesso che le notizie sono affidabili, i commenti di cui è invaso il web sono ormai sempre più una collezione di banali sfoghi, più o meno arrabbiati, che al di la di un impatto emotivo, non aggiungono alcuna conoscenza a chi legge.
Sul primo fronte, quello della “produzione” di notizie, i giornalisti di oggi, sempre più sottopagati, con sempre meno investimenti alle spalle da parte della testata per cui lavorano, travolti da un mare di informazioni e propagande da parte di aziende, organizzazioni politiche, gruppi di pressione, faticano sempre più ad adempiere il compito di filtro che valuta e seleziona prima di distribuire al pubblico. Sono sempre più spesso scavalcati e aggirati dalle fonti che interpellano, che si rivolgono direttamente al pubblico. Ciò può prendere una brutta piega quando la posta in gioco di importanti temi politici o economici è alta e le notizie che vengono date sono fake news. Grazie alla crescente accuratezza degli algoritmi che mettono nel mirino sui social media determinate categorie di persone, viene alimentato sempre più nella mente della gente un effetto ossessivo-paranoico. Al lettore vengono inviate notizie su temi a lui cari con esempi che lo rafforzano nelle sue convinzioni e pregiudizi. In politica numerosi website, senza dovere inventare notizie, non fanno che selezionare e a volte pompare (laddove non sono certe ma solo sospetti da verificare) notizie che confermano il lettore nelle sue convinzioni. Molti temi che riguardano personaggi particolari vengono ripresi ossessivamente per alimentare ostilità nei suoi confronti e l’aneddoto spiacevole o spaventoso prevale sull’andamento generale. La varietà viene uccisa dall’informazione selettiva. La curiosità intellettuale viene scoraggiata.
Non sorprende che gli animi della gente, alimentati da informazioni selettive e emotive, spesso con contorni catastrofici, vengano messi spesso in uno stato di allerta e paura che portano ad aggressività o depressione. E’ come se gli argini delle dighe del giornalismo tradizionale si fossero frantumati, permettendo a fiumi di informazioni di colpire chiunque in modo veloce, disordinato e concitato. Credo che siamo nel momento peggiore di una fase di transizione che mi auguro porterà a una nuova fase di equilibrio. Sono ottimista, ma nel frattempo ci troviamo ancora in acque fortemente agitate e in mare aperto.