Prima ancora di avverarsi, la Brexit sta letteralmente facendo perdere pezzi all’auto britannica. L’incertezza su scala amletica che sta divorando l’industria del settore, sta infatti accrescendo in questi giorni l’angoscia dei produttori stranieri che operano sull’isola di fronte alla possibilità di uno scenario no deal , ossia che il prossimo Governo conservatore decida, per onorare il risultato del referendum a ogni costo, di andarsene dalla UE sbattendo la porta. Un’uscita traumatica, che Londra potrebbe decidere senza pagare i 39 miliardi di euro che si era impegnata a scucire per i mancati progetti europei che erano stati approvati in quanto membro della UE. Una strada che il candidato favorito alla premiership Boris Johnson, ha detto di essere pronto a percorrere se messo alle strette. A onor del vero è emerso, proprio nelle ultime ore, che la Jaguar Land Rover, da anni di proprietà del gruppo indiano Tata, si appresterebbe ad annunciare, con una scelta controcorrente, un investimento di alcune centinaia di milioni di sterline su una nuova linea di auto elettriche. Se verrà confermata, la notizia servirà a rasserenare un pochino un’atmosfera plumbea. Va però detto che si tratta di una scommessa ardita e forse obbligata per la società, che tenta di rilanciarsi disperatamente dopo avere perso lo scorso anno 3.4 miliardi di dollari e avere ridotto la forza lavoro di 4500 dipendenti per tentare di tagliare i costi a fronte di una domanda fortemente ridotta.
L’auto britannica, composta essenzialmente da gruppi stranieri che producono nel Paese (Nissan, Honda, Toyota, Ford, PSA, Jaguar Land Rover, BMW e Volkswagen) ha messo in chiaro di essere pronta a chiudere i battenti se si verificasse una Brexit brutale, nota come no deal. La struttura produttiva di fornitori e subfornitori, che funziona senza interruzione con un andirivieni continuo di merci tra UK e UE verrebbe infatti mortalmente colpita. Davanti al colpo di un’uscita al buio, che non permetterebbe di pianificare più nulla per mesi sul fronte delle nuove tariffe commerciali, per le imprese dell’auto sarebbe meglio chiudere e scappare incassando le perdite, piuttosto che continuare a subire un’emorragia mortale. Molti danni sono peraltro già avvenuti, complice un peggioramento dell’economia mondiale, la crisi dei motori diesel e un cambio di gusti dei consumatori. In un clima già fortemente deteriorato, l’incertezza sul futuro diventa insostenibile. La beffa è già andata in scena un paio di mesi fa quando l’industria del settore, che conta 180 mila addetti diretti e 640mila indiretti, aveva deciso di pianificare una drastica riduzione produttiva in coincidenza con la prima uscita programmata prevista per il 31 marzo. Ora gli esponenti del settore hanno detto che non potranno ripetere l’esperimento in vista della nuova scadenza del 31 ottobre perché insostenibilmente costoso. Il risultato del primo esperimento, complice un rallentamento della domanda, è stato un crollo produttivo in aprile del 44,5% a 72mila veicoli prodotti rispetto ai 128mila dello stesso mese del 2017. In totale, nell’esercizio annuale terminato in Aprile del 2019, la contrazione è stata del 23% da 1,8 milioni a 1,39 milioni di pezzi. Ricordiamo che l’auto UK nel 2017 era ancora una realtà con cui fare i conti dato che il Paese era il decimo produttore mondiale a parimerito con la Francia. Inutile rilevare il clima di tensione che aleggia sui 3 milioni di britannici che dipendono economicamente dal settore. Secondo uno studio dell’Università di Oxford, nel caso di un no deal Brexit l’industria dell’auto britannica potrebbe subire un tracollo che dimezzerebbe la produzione (dunque ben al di sotto di un milione di pezzi) già a partire dal 2020.