Su un fatto penso che siamo tutti d’accordo: una società in cui l’aspettativa di vita va accorciandosi, non può essere considerata un modello virtuoso. E’ quanto accade da una decina d’anni anni negli USA e nel Regno Unito, dove la polarizzazione della ricchezza e l’emarginazione delle classi basse sta creando un divario crescente tra ricchi e poveri sul fronte della salute . I due Paesi stanno mostrando infatti un’inversione di tendenza singolare, con un accorciamento della vita all’interno dei 20 Paesi più affluenti del mondo. Una situazione esemplificata da casi limite come Baltimora negli USA dove il divario di aspettativa di vita tra ricchi e poveri ha raggiunto i 20 anni o dal quartiere di Kensington & Chelsea di Londra dove chi è povero rischia di morire 16 anni prima di chi è ricco. Insomma, i ricchi muoiono ultraottantenni e i poveri poco piu’ che sessantenni.
Nel Regno Unito, le ultime cifre del ONS, l’Ufficio nazionale di statistica, parlano chiaro: mentre tra il 2005 e il 2010 l’aspettativa di vita ha continuato a crescere in linea con i Paesi più ricchi, dal 2010 al 2016 si è registrata una preoccupante inversione di tendenza, per cui il tasso di crescita è crollato del 90% per le donne e del 76% per gli uomini a 82,8 e 79,1 anni di età rispettivamente. Il trend pare confermato in questi ultimi due anni, per cui si può parlare di un ultimo decennio di stasi in UK, mentre negli altri Paesi ricchi, Italia compresa, l’aspettativa di vita è continuata a crescere.
Povertà, bassa professionalità, ignoranza, specie sul fronte dell’igiene e della cultura alimentare, obesità, alcolismo, mancanza di autostima e depressione, uso di droga, malattie mentali curate con un crescente uso di oppiacei, che alla salute bene non fanno, stanno ingabbiando le fasce sociali più fragili in una condizione di dannati. Will Hutton, editorialista di The Guardian, ha ricordato come i medici americani abbiano descritto senza peli sulla lingua questa condizione come shit life sindrome, ossia la sindrome della vita di merda (ndr), che deriva da anni di sottoinvestimenti nella sanità e mancanza di sensibilizzazione sulla qualità della vita oltre che di attenzione da parte del Governo alle cause di questo grave malessere sociale. Nel Regno Unito sono colpite particolare le campagne, le città minori e le aree derelitte dei grandi centri urbani, con Londra in testa, dove le contrapposizioni sono più forti. Hutton rileva peraltro un recente studio del British Medical Journal che fa notare come ormai non siano più le minoranze di colore di origine extracomunitaria a patire di più. Oggi le fila si stanno ingrossando sempre più in virtù del contributo delle classi bianche meno privilegiate.
Il paradosso, secondo Hutton, è che gran parte di questa fascia sociale ha votato per la Brexit in reazione a un problema che ha ben poche radici nell’appartenenza alla UE e molte cause in politiche miopi dei Governi inglesi, in particolare dei Conservatori, che guidano il Paese da un decennio. In effetti, a giudicare da quanto si legge negli ultimi mesi, la Brexit sta oltretutto accentuando il problema, con la fuga del personale europeo dal sistema sanitario britannico, che si trova così in una situazione di crescente crisi e fatica sempre più a porre argine al deterioramento di qualità della vita.