Come era ormai inevitabile, il ministro degli Interni (Home Secretary) Amber Rudd ha dato le dimissioni dal Governo britannico. Da quanto emerso da un carteggio con Theresa May reso pubblico domenica sera, il gesto è stato volontario, non richiesto, né sollecitato o “accompagnato” dal Primo ministro. La Rudd ha giustificato il proprio atto col fatto che un peccato per omissione vale quanto un atto riprovevole e ne ha tratto le conseguenze. Ha giurato di non avere mai avuto intenzione di mentire al Parlamento, ma ha preso atto di non avergli dato le informazioni giuste. Il suo peccato è stato quello di non essersi informata sull’esistenza di politiche anti immigrazione che fissavano quote specifiche a livello di dipartimenti del ministero e di averne erroneamente negato l’esistenza alla Camera dei Comuni. Una storia che sarebbe stata di peso minore se non fosse emerso nei giorni scorsi lo scandalo di migliaia di immigrati caraibici stabiliti da decenni nel Paese e a rischio di rimpatrio dopo che i loro documenti di sbarco negli anni Cinquanta e Sessanta erano stati distrutti dal ministero nel 2010. Rendendoli vulnerabili a una legge successiva del 2012 che dava un giro di vite all’immigrazione illegale nel Paese, spogliando dei diritti di cittadinanza una legione di immigrati ignari di venire colpiti dall’arrivo di quote più restrittive.
La storia è altamente imbarazzante. Molti hanno visto infatti nel “sacrificio” della Rudd, fedelissima della May, un estremo tentativo per proteggere il muro portante di un governo fortemente traballante in un momento di decisioni cruciali per la Brexit. Ieri infatti non sono mancate le critiche dirette nei confronti del Primo Ministro che, avendo preceduto la Rudd agli Interni dal 2010 al 2016 è stata uno dei maggiori architetti delle politiche anti-immigrazione e avrebbe a sua volta dovuto essere al corrente dei fatti. Sia la May sia la Rudd non si sono scusate per il giro di vite sull’immigrazione illegale, che hanno dichiaratamente annunciato di volere combattere, ma del modo in cui i tagli sono avvenuti, coinvolgendo appunto molti malcapitati cittadini del Commonwealth.
La Rudd, efficiente e decisionista a detta anche dei colleghi rivali , (ha fatto fronte con energia ai recenti atti di terrorismo, oltre al montare dei crimini online) era un peso massimo del fronte del remain. E questo potrebbe creare problemi futuri al gruppo degli eurofili nel Governo. Durante la campagna referendaria, la Rudd si è distinta per le qualità oratorie e i duelli con Boris Johnson, paladino del fronte dei leaver. La sua sostituzione con Said Javid, giovane abile e ambizioso di origini pakistane ma piuttosto tiepido sul tema Brexit, è visto da alcuni come un fattore di sbilanciamento del Governo a favore della linea degli eurofobi. E ciò in un momento in cui si stanno giocando le ultime carte sulla possibilità che il Regno Unito resti sotto qualche forma dentro all’unione doganale della UE. Un’ipotesi promossa dai leavers ma fortemente contrastata dai brexiter. Questi chiedono un taglio netto con la UE e personaggi come David Davis ministro preposto alla Brexit o il ministro degli Esteri Boris Johnson hanno fatto capire di essere pronti alle dimissioni nel caso l’ipotesi venisse fatta propria dalla May. Se ciò avvenisse, dopo la recente spallata della partenza della Rudd, manderebbe il Governo definitivamente in convulsione con un alto rischio di tracollo.