Che influenza ha avuto la Brexit sull’economia britannica? E’ vero, come prevedeva la stragrande maggioranza degli economisti, compreso il Tesoro britannico e la Banca d’Inghilterra, che il Paese avrebbe sofferto molto, entrando prima in recessione e poi in un limbo di crescita ridotta che sarebbe durato per anni? La prima regionevole risposta è che, dato che la Brexit ha ancora da venire, non ha molto senso dare delle risposte già oggi. E’ però vero che, finora, il primo round del dibattito pare averlo vinto il partito in favore della Brexit, dato che la crescita del Paese continua a un ritmo più che decoroso: l’ultima previsione della Banca centrale relativa all’anno in corso, per quanto abbia subito un lieve taglio dal 2% all’1,9%, non pare motivo di preoccupazione.
Tutto rose e fiori dunque? Purtroppo no: la svalutazione di circa il 12/13% della sterlina su dollaro ed euro, avvenuta subito dopo la vittoria referendaria del sì, è stata un effetto concreto e immediato del voto e sta dando risultati spiacevoli. Il Paese sembra infatti essere in preda a una pericolosa asfissia. Dato che i redditi reali non aumentano ormai da 7 anni, la pressione sul portafoglio della gente causato dai rincari dei beni di consumo attraverso il volano delle merci importate a prezzi più elevati, sta facendosi sempre più insopportabile. Ciò incide sulla crescita: dopo un progresso dello 0,7% del pil alla fine del 2016, il primo trimestre di quest’anno si è chiuso con un misero 0,2%. Visto staticamente, il dato in sé non è un cattivo presagio. Al peggio, come si diceva, il pil del 2017 potrebbe scendere di un poco. Se fossimo però davanti al sintomo dell’avvio di un trend di netto peggioramento le cose sarebbero allora ben più inquietanti.
Il dato più preoccupante che va verso la direzione del pessimismo è la recente pubblicazione dei dati relativi al tasso di risparmio degli inglesi, sceso al 1,7% del reddito disponibile delle famiglie. Per quanto, rispetto all’Italia risparmiosa, il Regno Unito sia sempre stato un Paese di cicale, esso ha mantenuto mediamente negli ultimi 54 anni un tasso medio del 9,2%. Non alto, ma comunque rispettabile. Ora però questo ha iniziato a cadere rapidamente negli ultimi tempi: nel primo trimestre del 2016 era al 6,2%, nell’ultimo trimestre al 3,3%, per poi ridursi appunto al lumicino tra gennaio e marzo di quest’anno. Questa erosione dei risparmi ha sostenuto finora i consumi, che hanno tenuto in piedi l’economia grazie anche a un forte indebitamento privato delle famiglie e alla tenuta dell’occupazione, anche se a costo di una erosione dei redditi. Ora che i soldi stanno finendo e i debiti non possono aumentare, è assai probabile che i consumi inizieranno a cedere a loro volta, mettendo l’economia in crescente difficoltà.
L’unica terapia possibile a questo declino è un aumento dei redditi. Per questo motivo si continua a invocare un netto allentamento delle politiche di austerità adottate dai Tories dallo scoppio della bolla nel 2008. I laburisti di Corbyn ne hanno fatto un vessillo, mettendo recentemente ai voti la richiesta di un aumento dell’1% dei salari dei dipendenti pubblici. Il tentativo è stato respinto dai sostenitori del Governo per una manciata dei voti. Per quanto potrà il Governo conservatore tenere duro sulla linea dell’austerità? Il cancelliere Philip Hammond ha allentato la morsa del predecessore George Osborne nel suo budget post- Brexit allungando di alcuni anni i tempi del rientro dal debito. I recenti dati sul risparmio degli inglesi rivelano però che siamo alla frutta. L’opinione pubblica, come evidenziato dalle ultime elezioni, che hanno premiato i laburisti e fortemente ridimensionato i conservatori, inizia infatti a rivoltarsi contro questo impoverimento progressivo che sta stritolando le classi basse e che non promette nulla di buono per il futuro. Al momento siamo in una fase di stallo. Il rischio è che la quiete in cui ci troviamo sia quella apparente prima della tempesta…