Da oltre un decennio Londra è una capitale globale e senz’altro la capitale virtuale d’Europa. Finanza, accademia, architettura, design, mercato dell’arte, alta tecnologia, musica, media e comunicazioni, ricerca scientifica (in trio con Oxford e Cambridge) ristorazione, hotellerie, shopping ne fanno un centro estremamente sovradimensionato rispetto alle esigenze del Regno Unito e tanto meno dell’Inghilterra, nella sciagurata ipotesi di una secessione della Scozia e (meno verosimile) del Nord Irlanda.
Il voto per il Brexit dunque rischia di essere un violento Hara Kiri per una città cosmopolita di 9 milioni di abitanti, con un bacino di riferimento di una ventina, in massima parte specializzati attorno alle eccellenze di questo grande centro europeo. Finora nulla è cambiato e la gente stenta ancora a credere che la capitale possa essere seriamente danneggiata. Molti confidano nell’inerzia e nella massa critica della metropoli che, come una grande stella, continuerà a produrre e irradiare energia autonomamente. Ma questo stato di sospensione del tempo in attesa di un chiarimento del futuro commerciale del Regno Unito non deve nascondere la eventualità che emergano probemi reali.
Il primo nodo è senza dubbio quello della finanza e del passaporto europeo dei servizi finanziari. Se Londra finisse isolata sarà inevitabile che una parte significativa dei servizi possa migrare all’interno della UE, avvantaggiando altre capitali. Il fatto è che se Londra perderà colpi, sul continente europeo non emergerà un vero vincitore. A una Londra che concentra in un solo luogo un’infinità di professionalità e know how ormai perfettamente integrati tra loro rischia di succedere uno sbriciolamento di capacità sparse qua e là in varie città europee. Se infatti escludiamo Parigi, che è l’unica seria alternativa alla capitale inglese ma ha forti limiti dati dalla lingua, da un sistema legale ampolloso e da una forte conflittualità sociale, nessun altra capitale europea ha le carte per trasformarsi nel breve e medio termine in una completa alternativa.
Milano, dopo l’Expo, è migliorata moltissimo e resta una città assai godibile. Potrebbe guadagnare sul fronte di moda design e architettura, ma non dei servizi finanziari: poca trasparenza, mercati piccoli, sistema legale farraginoso e devastante burocrazia, oltre al limite della lingua, non ne fanno una seria candidata su questo fronte. Amsterdam, Francoforte e Dublino sono sicuramente valide alternative, ma solo se messe in rete, dato che sono piccole città il cui mercato immobiliare si saturerebbe immediatamente fino a congestionarsi in caso di arrivo in massa di operatori finanziari. Inoltre non offrono neppure lontanamente le amenità della capitale britannica a ricchi finanzieri in vena di svago. Berlino ha mille qualità ma è fortemente decentrata a Nord Est dell’Europa e non ha una base su cui costruire un’industria finanziaria e delle tecnologie dell’informazione che vanno pari passo.
Un polo come Londra non si crea in pochi mesi né in pochi anni. La crescita della capitale come la conosciamo è avvenuta infatti negli ultimi 20 anni e comunque si è innestata su una città che era sì in contrazione fino al 1990, ma aveva conosciuto un’enorme espansione con relative infrastrutture durante il precedente cinquantennio. Risultato: come gli squali attorno a una balena ferita, le città europee che cercano (e si stanno già muovendo in questa direzione) di trarre vantaggi dal Brexit prendendo a morsi qua e là della capitale britannica otterranno piccole vittorie ma non un trionfo definitivo. Londra perderà smalto e le altre città si arricchiranno e cresceranno senza che nessuna, allo stato delle cose, diventi un centro sufficientemente attraente. Il risultato finale rischia di essere un impoverimento netto per l’Europa.
Il nuovo sindaco di Londra, Sadiq Khan è peraltro perfettamente cosciente che per far prosperare la capitale questa deve rimanere più aperta possibile e continuare ad attrarre talenti oltre che creare continue opportunità. Il problema fondamentale è che il milione e mezzo di europei che risiedono a Londra e che contribuisce in tutti i settori di punta dell’eeconomia, dalla finanza, passando per i muratori polacchi altamente professionali, non potranno essere sostituiti, almeno nell’arco di questa generazione, da cinesi, indiani o altri membri del Commonwealth date le loro diverse specificità professionali. Per questo, quando i fautori del Brexit la mettono facile dicendo che si può’ chiudere all’Europa e aprire al resto del mondo vivono e alimentano una pericolosa illusione.