In una società globalizzata che, sulle ali di internet, si fa sempre più liquida e mutevole, il possesso delle cose sta diventando un ostacolo ingombrante. Una nuova generazione di giovani, mediamente al di sotto dei 25 anni, predilige in maniera crescente il gusto dell’esperienza a quello delle cose. Affittano le auto o girano coi mezzi pubblici, condividono appartamenti e si appoggiano a internet per soddisfare le proprie esigenze, come pure affidano il proprio cane temporaneamente ad amanti degli animali perché il lavoro o le condizioni dell’alloggio impediscono loro di accudirli degnamente. Mettono in affitto o affittano altrui appartamenti per le loro brevi vacanze, minimizzando i costi e massimizzando la scelta delle località che si vogliono visitare, mantenendo il gusto del focolare a scapito dell’anonimato di alberghi e pensioni. A Londra è ormai un fenomeno dilagante, che si tocca con mano e coinvolge da vicino ogni famiglia: i neolaureati che si affacciano sul mondo del lavoro condividono gli appartamenti in cui vivono, andando avanti anche in età più avanzata dati i costi proibitivi delle case. Mio figlio 24enne e tantissimi suoi amici non sanno ancora cosa sia una patente di guida e non ne sentono il bisogno, affidandosi il più possbile ai pubblici trasporti. Pensiamo peraltro a quante ore al giorno le auto di proprietà giacciono inutilizzate nei posteggi per le strade rispetto al tempo reale di utilizzo.
La chiamano la sharing economy, traducibile, un po’ pesantemente, con il termine economia della condivisione. E’ nata sulla spinta della crisi del 2008, che ha costretto molta gente a ridimensionarsi e inventarsi una nuova vita. Per i giovani pare diventare uno stile di vita. Non è l’inizio della fine del capitalismo, badate, perché non si parla di comuni hippy o centri spirituali dove tutto è di tutti. Né una nuova forma di pauperismo. I soldi girano, eccome, ma in modo diverso. Possiamo parlare, in altre parole, di una svolta epocale che internet sta innestando: il divorzio tra capitale e possesso. La definizione è forse un po’ forte, dal momento che la proprietà privata non viene abolita, ma viene ridimensionata all’essenziale. Si paga sempre più per dei servizi e delle esperienze e meno per le cose. Si affitta e non si compra. Secondo un recente e interessantissimo studio della società di consulenza PWC, il mercato globale per gli affitti più o meno temporanei delle case, per il car sharing e i servizi acquisiti su internet è destinato a esplodere, passando dagli attuali 15 miliardi di dollari a circa 350 miliardi nel giro di un decennio. A spingere il boom sono servizi come Airbnb, Home Away o Onefinestay per le case per coloro che vogliono mettere temporaneamente in affitto il proprio alloggio o scambiare o affittare case altrui. Soltanto Airbnb, secondo lo studio, ha raggiunto quasi mezzo milione di persone, per un totale di 155milioni di pernottamenti all’anno, quasi 30 milioni in più di tutta la catena Hilton su scala mondiale…
Secondo lo studio, l’accelerazione del fenomeno viene, come si diceva, dai giovanissmi, dato che la fascia compresa tra i 18 e 24 anni preferisce l’esperienza dei beni materiali al loro possesso in misura doppia di chi ha passato la soglia del quarto di secolo. Siamo davanti insomma a un nuovo profondo fenomeno di cui si iniziano a vedere chiaramente i contorni, destinato a trasformare ampi strati della economia dei consumi, nel senso di consumi più rapidi, superficiali e accelerati. Quale impatto sul mercato dell’auto, dei mobili antichi, dell’arte, del collezionismo, e in ultima analisi dei rapporti tra persone? Ah saperlo! A questo punto mi viene in mente una massima di Napoleone che pare al meglio adattarsi a questa nuova condizione umana: “la ricchezza non consiste nel possesso di tesori ma nell’uso che ne sappiamo fare”. Detto da uno che di bottini di guerra se ne intendeva, mi pare quanto mai attuale.