The New York Times, Financial Times, The Times, probabilmente pure The Times of India. Quando la stampa di lingua inglese parla di noi, colpendoci sul vivo, si scatena il putiferio. Ultimo della serie, l’augusto quotidiano newyorkese, che ha detto cose arcinote dell’Italia: un Paese in declino demografico, dove i vecchi divorano i giovani, dove la gente risulta essere la più infelice d’Europa, dove le carriere son bloccate, dove la piccola industria è in difficoltà, la burocrazia impera e non arrivano investimenti esteri. Se le avesse scritte la Gazzetta di Valpisello tutto sarebbe passato inosservato nel calderone del lamiento nazionale che serve a sfogarsi e a non agire. L’articolo del giornalista americano è stato invece ripreso dalla Rai in prima serata e ha avuto una reazione dallo stesso presidente della Repubblica.
Confesso che invidio il collega americano che ha scritto l’articolo. Mi capita spesso di criticare il Governo britannico, ho intervistato una volta Margaret Thatcher e cinque volte Tony Blair facendo anche domande imbarazzanti, ma non ho mai creato polemiche nella stampa inglese e tantomeno anglosassone. Che sa badare a sè stessa e non ha bisogno di un italiano per criticare i propri governanti. Invidio inoltre i colleghi inglesi perchè qui a Londra non è facile ottenere interviste, contrariamente all’Italia, dove politici e uomini d’affari fanno la coda per essere smicrofonati ossessivamente un giorno sì e un giorno no. E per questo invidio nuovamente i colleghi stranieri (ne conosco tanti) che appena arrivano in Italia hanno immediato accesso alla nostra classe dirigente. Conosco molti colleghi che, increduli, da esponenti della classe media con casa nei sobborghi di Londra, in Italia si sono trovati d’un tratto corteggiati e riveriti come capi di Stato.
Azzardo alcune spiegazioni a questo nostro comportamento che molti definiscono provinciale ma io credo sia piuttosto psicotico. Anche perchè il New York Times o il Financial Times, in un mondo che si abbevera sempre più dalla Tv e dalla rete sono letti in fondo da quattro gatti e il continuare ad agitarsi e a reagire alle critiche fa solo l’effetto di amplificarle causando l’effetto di quello che non sa nuotare e agitandosi affoga. Comunque, azzardo tre spiegazioni al nostro comportamento. La prima è crudele: si tratta di una inconfessabile forma di narcisismo per cui siamo contenti in fondo che si parli di noi, anche male, in modo da poterci inserire in un dibattito internazionale. Il secondo è che abbiamo una coda di paglia lunga chilometri e che non accettiamo che qualcuno ripeta in lingua inglese critiche che ci facciamo già noi in Italiano e che a volte i nostri media non riportano. Questi ultimi, umiliati dalla maggiore libertà di cui gode lo straniero reagiscono con invidiosa stizza. Ultima spiegazione: una forte insicurezza in noi stessi e un complesso d’inferiorità continuo per cui abbiamo bisogno di verifiche esterne per sapere chi siamo. Il contrario degli anglosassoni, inglesi in testa, che soffrono di un complesso di superiorità. Quest’ultimo è dannosissimo perchè non permette di correggere i propri errori e porta a rompersi il muso contro la realtà. Meglio il nostro, di complesso, perchè stimola a correggersi. Ma il problema, da un po’ di anni, è che, senza bisogno di leggere la stampa estera, sappiamo benissimo quali sono i nostri difetti. E’ che non abbiamo l’interesse o il coraggio di superarli.