Ultimo e più illustre della serie è stato Fabio Capello, appena giunto nella capitale britannica su un tappeto rosso, per risollevare le sorti della moribonda nazionale inglese. Ma la comunità di Italiani ricchi e famosi su cui vigila attento il nostro ambasciatore a Londra, Giancarlo Aragona , è ormai sterminata. Il più noto, anche in virtù della fortuna che ha accumulato, è Stefano Pessina, milanese e protagonista l’estate scorsa con il fondo Usa KKR del più grande management buyout della storia europea da 11,5 miliardi di sterline (17,2 miliardi di euro). Potremmo chiamarli "britaliani", questi italiani che si sono inseriti nella realtà britannica, del cui successo sono diventati una componente essenziale.
Oggi Pessina, laureato in ingegneria nucleare al Politecnico di Milano, con alle spalle 30 anni nella distribuzione di prodotti farmaceutici dove ha creato un colosso europeo a colpi di acquisizioni, è proprietario al 30% (per un controvalore di 4 miliardi di sterline, pari a 6 miliardi di euro) di Alliance-Boots, colosso della distribuzione di prodotti farmaceutici e proprietario della maggiore catena di farmacie britannica. C’è poi Vittorio Colao, ex ad del gruppo Rcs e oggi numero due di Vodafaone, il gigante europeo dei telefoni mobili. O Francesco Caio, numero uno delle attività europee della banca americana Lehman Brothers, in precedenza Ceo del gruppo di telecomunicaioni Cable & Wireless e prima ancora padre fondatore dell’italiana Omnitel. A tanti prestigiosi top managers è venuto ad aggiungersi da un mese Massimo Capuano, nel ruolo di deputy chief executive, ossia numero due, della Borsa di Londra dopo la fusione di quest’ultima con la Borsa italiana. Angelo Tantazzi, da presidente di Borsa italiana, diventa vicepresidente della nuova entità. A costoro va accodata una sterminata schiera di banchieri d’affari con alcuni ex, come Claudio Costamagna, responsabile di tutte le attività europee di investment banking di Goldman Sachs fino al 2006, o tanti altri ancora operativi, come Francesco Vanni d’Archirafi e Panfilo Tarantelli, giunti ai vertici di Citigroup, Ruggero Magnoni e Vittorio Pignatti in Lehman, Enrico Bombieri in JpMorgan Chase, Guglielmo Sartori in Barclays Capital, Marco Mazzucchelli al Credit Suisse, Massimo Tosato a Schroders, Andrea Orcel in Merrill Lynch e Dante Roscini e Domenico Siniscalco in Morgan Stanley. Di questi banchieri alcuni hanno avuto un periodo di pendolarismo di prestigio in Italia prima di rientrare come Marco Mazzucchelli, che da Morgan Stanley è passato dalla direzione della finanza del Monte dei Paschi e dalla guida dell’asset management del San Paolo-Imi, o, a parti rovesciate, Edoardo Spezzotti, che da Goldman e poi Merrill è finito ora a guidare l’investment banking di Unicredit. Siniscalco è peraltro un esempio illustre del ruolo di "porta girevole" che Londra riveste per molti top manager e uomini delle istituzioni italiane. Direttore del Tesoro nel 2001-3, ministro dell’Economia sotto Berlusconi nel 2004-5 e poi numero due delle attività europee della banca d’affari Usa, oggi guida la filiale italiana. Altri due suoi predecessori hanno avuto trascorsi illustri: Mario Sarcinelli, giunto dalla direzione del Tesoro a Londra alla vicepresidenza della Bers, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo per poi tornare in Italia come presidente di Bnl e Fabrizio Saccomanni, che dalla direzione Esteri di Bankitalia ha ricoperto lo stesso ruolo di Sarcinelli alla Bers per poi rientrare come direttore generale della nostra Banca centrale. Last but not least lo stesso Governatore di Banca d’Italia, Mario Draghi, anch’egli in precedenza alla direzione del Tesoro e poi in Goldman per un triennio (2002-05) dove è giunto al vertice come membro del management committee, il sancta santorum della prestigiosa banca Usa dove vengono prese tutte le decisioni strategiche. L’attrazione reciproca tra il Tesoro e Londra ha anche funzionato in senso contrario, con Vittorio Grilli che dal Credit Suisse è tornato in Italia prima a capo della Ragioneria dello Stato e poi alla direzione del ministero.
Capello è peraltro esponente di una categoria di Italiani che hanno avuto grande successo a Londra senza essere necessariamente top manager o finanzieri. Giorgio Locatelli, ad esempio, è uno dei dieci grandi chef britannici, mentre Antonio Carluccio è noto come ambasciatore dei gusti italiani più tradizionali e oggi possiede una catena di ristoranti di grande successo. A cui va affiancata una schiera di ottimi ristoratori, sbarcati all’inizio degli anni ’90 che hanno fatto fortuna nella Londra del boom. A tutti questi illustri concittadini va aggiunta una lista infinita di alcune migliaia tra banchieri, accademici, medici pubblicitari, avvocati, esperti d’arte che vivono a Londra da anni e costituiscono una vera e propria classe dirigente di ricambio per il nostro Paese. Una cosa, per ora, pare però certa. Non hanno alcuna intenzione di rientrare. Guadagnano troppo bene, vivono in una città che offre molto e, soprattutto, vedono riconosciuto il merito, merce rara nel nostro Paese. A nessuno d’altronde, Capello per primo, gli inglesi fanno sconti. A Londra porte aperte a tutti ma solo se si ha talento o se si prova di averlo. E’ una dura scuola, ma offre più opportunità a chi rischia rispetto a chi vuole garantita una vita noiosa e con prospettive modeste. o no?