Questa brutta recessione, che manifesta sempre più i tratti di una depressione, sarà particolarmente dura per la Gran Bretagna. Dopo essere cresciuta per oltre un decennio a un ritmo superiore degli altri grandi Paesi europei, la Gran Bretagna rischia ora di segnare il peggiore regresso del pil di tutti. I motivi sono molti e molti hanno un preoccupante aspetto strutturale. Ciò renderebbe d’altra parte ancora più lenta e penosa un’uscita dalla crisi rispetto ad altri Paesi occidentali. La più colpita sarà peraltro Londra, che è stata investita in pieno dal crack finanziario. La capitale, che ha il 12% della popolazione del Regno Unito, è il motore del Paese dato che pesa, secondo un recente studio di Oxford Economics, per il 15% dei posti di lavoro e il 19% del pil.
Se Londra prende la polmonite si ammala anche l’affluente Sud-Est e con esso viene coinvolto oltre un terzo della popolazione britannica (22 milioni di persone). Per quanto il Nord dell’Inghilterra e la Scozia soffriranno di meno, sarà una magra consolazione, dato che non potranno esercitare un effetto traente sul resto del Paese ma potranno, al meglio, barcamenarsi per contenere i danni propri. La fragilità inglese deriva da una forte bolla immobiliare, il cui scoppio sta incidendo sul debito privato, dal momento che le famiglie non potranno più usare il proprio immobile per garantire altri prestiti. Fortemente indebitati (103% del pil) gli inglesi si troveranno in difficoltà a ripagare gli interessi sui mutui, oltre ai debiti contratti con le carte di credito che le banche britanniche hanno distribuito in passato a man bassa senza verificare la solvibilità della clientela. La base industriale, che si è andata assottigliando, difficilmente potrà svolgere un ruolo di ammortizzatore. La sterlina calante renderà più care le importazioni e non favorirà le esportazioni, dato che la domanda dal resto del mondo si sta contraendo e, comunque, gli inglesi hanno pochi beni da esportare. Quanto ai servizi finanziari, il mercato è fermo. Da tempo il Governo, sostenuto da vari economisti, dice che Londra in particolare dovrà compensare la contrazione della finanza sviluppando altri settori come il turismo (favorito dal calo della sterlina) l’industria musicale, l’accademia, i musei, il mercato dell’arte, il software, la consulenza, l’architettura e il design. Tutti campi in cui ha finora eccelso. Ma, ahimè, uno studio del dipartimento economico del comune di Londra provava recentemente che tutti questi settori, parte dell’economia della conoscenza, sono fortemente legati allo sviluppo della City che, in questo momento, sta assai male, con la prospettiva di perdere tra 50 e 80mila posti di lavoro. Una via d’uscita a breve è dunque difficile da trovare. La Banca d’Inghilterra sta facendo il proprio dovere riducendo i tassi (li taglierà ancora giovedì di mezzo punto se non un punto intero) e il Governo ha avviato una manovra di rilancio tagliando le imposte tra cui l’Iva, che è passata dal 17,5 al 15%. Una manovra dubbia, quest’ultima, perchè, oltre a fare impazzire i negozianti che devono rivedere tutti i propri listini (al costo di 300 milioni di sterline complessive) difficilmente dovrebbe incitarli a tagliare i prezzi, dato che, da oltre un mese, compiono già di loro iniziativa campagne di sconti aggressivi. Il rischio è che il taglio causi solo un mancato introito di 12 miliardi di sterline all’erario senza molti vantaggi sulla domanda. I soldi a pioggia sono meglio di niente, ma gli inglesi, particolarmente mogi in questi giorni, stanno iniziando a rendersi conto della fragilità del loro modello di sviluppo. Che ovviamente non è tutto da buttare (nessuno in Occidente può pensare di fare concorrenza a Cina o India in molti settori industriali) ma sta ora pagando un’esposizione eccessiva alla finanza e a certi servizi che mostrano tutta la loro fragilità.