Bombardata, ridotta in macerie, senza possibilità di ricostruzione, almeno a medio termine. Questo il verdetto senza appello sull'economia britannica di una crescente schiera di pessimisti. Secondo Jim Rogers, ideatore del fondo Quantum con George Soros, la Gran Bretagna sarebbe spacciata < perchè non ha più niente da vendere >. A gettare benzina sul fuoco dell'imperante pessimismo si è aggiunto ieri il Fondo Monetario, che ha previsto per l'anno in corso una recessione del 2,8%, la peggiore tra i grandi Paesi industrializzati. Se si somma la contrazione con il regresso dell'ultimo trimestre del 2008, nell'arco di 15 mesi il crollo del pil britannico sarà di oltre il 4%. Una frana. Ma è veramente cosi drammatica la situazione?
Il ragionamento di Rogers non fa una grinza. Un Paese che stava in piedi grazie a una gigantesca bolla finanziaria senza avere nulla da vendere in altri settori economici, quando scoppia la bolla finisce sul lastrico. Secondo previsioni del think-tank Cebr, d'altronde, la sola City di Londra, come conseguenza del crash finanziario, perderà 62mila addetti, pari al 18% della propria forza lavoro. La Gran Bretagna non ha più industrie significative sul proprio territorio che possano beneficiare, in termini di export, dal calo della sterlina.Sperare che il turismo, la musica, la pubblicità, la consulenza, l'accademia, l'amministrazione pubblica e quello che resta della finanza riescano a garantire un futuro vincente al Paese sarebbe, secondo i detrattori, una beata illusione. Il modello britannico, sulla scia di quello americano e, su scala minore e più preoccupante, quello irlandese e islandese, sarebbe insomma fallimentare. Con l'aggravante che, mentre l'economia Usa ha ancora forti industrie e pesa comunque per un quinto del pil mondiale, la Gran Bretagna, che vale un sesto dell'economia Usa, ha poco da offrire. Fin qui il ragionamento. Ma i nichilisti tendono a dimenticare che gli inglesi hanno ha ancora una potente industria farmaceutica e delle biotecnologie (Glaxo Smithkline, Shire e Astrazeneca) del petrolio (Bp, Shell e Centrica), della difesa (Bae Systems e Gkn) della chimica e detergenti (Unilever e Reckitt Benkiser), dell'alimentare (Diageo, Unilever, Cadbury, Abf) dei media (Pearson, Bskyb, Mail, ThomsonReuters) e via elencando. Per non dimenticare la bistrattata finanza, che malgrado il bombardamento di questi mesi, resta comunque in proporzione un'attività più preponderante che in altri Paesi anche perchè legata, nel bene e nel male, a quella americana. Quando, dopo una lunga penitenza, la finanza Usa ripartirà, perchè il mondo per andare avanti ha bisogno di finanza, la City seguirà a ruota. La City rimarrà importante perchè al momento non esistono altri centri capaci di creare un polo alternativo: Dubai a sua volta è entrata in crisi, Singapore anche e potrebbe subire una recessione del 5% nel 2009. Quanto alla Svizzera, dopo il tracollo di Ubs e il crack di Madoff, che contava molto nella finanza elvetica, essa è a sua volta in difficoltà. Gli altri paesi europei, a guardare bene, non si trovano peraltro molto meglio: la Grecia è in preda a tensioni sociali, la Spagna langue in una tremenda crisi immobiliare, l'Italia e la Germania avranno brutte sorprese sul fronte dell'export e la Francia di Sarkò non pare avere trovato la formula magica che la renderà immune. Insomma, per la Gran Bretagna, la situazione è certamente seria, anche perchè le industrie più colpite da questa crisi e in questa fase sono quelle dei servizi. Ma da qui a dire che Londra è spacciata ce ne passa. Non sarebbe la prima volta, d'altronde, che la capitale, dopo un periodo di sofferenza, si inventa un nuovo percorso. Molti peraltro scommettono già che sarà la prima, assieme agli Usa, a uscire dalla recessione.