La crisi finanziaria ha avuto un effetto certo: quello di mettere in fondo alla lista delle priorità dei Governi il dossier del cambiamento climatico. Sul tema vi sarà tra 90 giorni un vertice a Copenhagen, ma se ne parla poco o nulla. Eppure, se è vero che la crisi, deprimendo l'economia mondiale, ha ridotto le emissioni in modo assai sensibile secondo quanto e' trapelato oggi da uno studio dell'Internatrional Energy Agency (Iea), essa non ha per nulla cambiato le priorità. L'argomento resta infatti di vitale importanza e all'annuale convegno anglo-Italiano di Pontignano, concluso nel week end, si è dato il giusto rilievo a un tema di vitale importanza per il futuro del pianeta.
Se vogliamo infatti ridurre le emissioni di CO2 entro il 2020 secondo gli obiettivi posti dai Governi Europei, dovremo investire in nuove tecnologie a un ritmo di 100 miliardi di dollari l'anno. Un ritmo così elevato da fare esclamare ad alcuni esperti che il tetto posto tra 10 anni è irrealistico e che esiste uno iato enorme da colmare tra il dire e il fare. Eppure, se è vero che la situazione è seria, è altrettanto vero che non è disperata. Lo studio dell'Iea evidenzia infatti che quest'anno il calo delle emissioni e' stato il piu sensibile da 40 anni a questa parte. Inoltre, alla guida degli Usa è giunto un presidente che ha già passato lo scorso 25 giugno una legge (Clean Energy and Security Act) per arginare l'inquinamento. Un presidente pieno di buona volontà che potrebbe finalmente iniziare a muovere le cose per il verso giusto dopo gli anni bui di George W Bush. Le aziende sempre più si rendono conto che è necessario cavalcare l'argomento della crescita sostenibile per il bene non solo del pianeta ma anche per quello meno altruistico degli investitori che iniziano a penalizzare sempre più in Borsa le imprese che non hanno una strategia sull'argomento. Un gruppo di 181 investitori con 13mila miliardi di dollari in gestione ha messo in chiaro la scorsa settimana che si attende un'intesa che porti a tagli di emissioni assai netti. Domani 500 grandi aziende tra cui Ge Coca cola Procter and Gamble faranno a loro volta un appello. Quelli più da convincere sono i consumatori, che si vedrebbero costretti a fare qualche sacrificio. Ma con un giusto mix di bastone e carota, di restrizioni e di incentivi, lo scoglio non dovrebbe essere insormontabile. Le regole vanno però pensate bene per creare gli effetti voluti. In Italia, dove il tema, come tutti gli argomenti che obbligano a uno sforzo di astrazione o pianificazione viene accantonato e rinviato, si è fatto molto meno che in altri paesi. Un esempio per tutti il settore edilizio dove delle leggi ad hoc con sgravi fiscali sugli edifici potrebbero portare a notevoli risparmi di energia. Peraltro, per combattere il mutamento climatico ci vuole tutto l'armamentario degli strumenti che abbiamo a disposizione: dal risparmio energetico alle fonti di generazione rinnovabili, passando per il nucleare. Va però pensato come dividere gli sforzi tra settore pubblico e privato, considerando che molte aziende energetiche sono piene di liquidità da investire e che il loro atteggiamento può essere guidato da una intelligente legislazione. Che accadrà ora? Lo scenario peggiore è che a Copenhagen non si giunga ad alcun accordo o a un accordo minimo fatto passare come una svolta importante. Escludendo che un accordo fermo possa vedere la luce, data la situazione economica generale e il recente insediamento di Obama che non cospirano nella giusta direzione, dovremo essere assai contenti e ringraziare la famosa Sirenetta della capitale danese se si raggiungerà una dichiarazione di intenti con un chiaro quadro di riferimento che possa portare successivamente a una Copenhagen bis. E, dati i tempi che corrono, sarebbe tutto sommato un risultato lusinghiero. Si tratta pero' di un'occasione da cogliere al volo. Le circostanze paiono ottime.