David Cameron è un conservatore eccentrico, per certi versi "progressista" se mi passate il bisticcio di parole. Il premier britannico ha infatti difeso la natura pubblica del sistema sanitario nazionale, che gli ha curato in modo impeccabile un figlio severamente handicappato (Ivan, morto tre anni fa). Ha strenuamente promosso il volontariato come chiave di volta per riparare una società malata di assistenza statale e ridare senso di responsabilità individuale e spirito di solidarietà verso il prossimo. Forse però l'aspetto più originale, o strampalato, del suo pensiero, se ascoltiamo i detrattori della destra conservatrice, sta in una visione un poco hippy della vita, culminata nel commissionamento di uno studio, del costo di 2 milioni di sterline, per stabilire se il danaro faccia veramente la felicità. L'idea è di creare una serie di indicatori per valutare ciò che sta alla base del benessere di una nazione. L'idea non e' nuova: già nel 1972 l'allora re del Bhutan, il piccolo Stato Himalayano, diceva che il progresso dovrebbe essere misurato non dal Pil (prodotto interno lordo) ma dalla felicità, il Fil (felicità interna lorda). L'economista Richard Esterlin, che insegna alla Università della California del Sud , nel 1974 aveva elaborato una teoria secondo cui raggiunto un certo livello il reddito di un individuo non porta benessere addizionale. Nel 2010 un studio dell'Università di Princeton ha quantificato in modo preciso in 75mila dollari lordi l'anno la soglia oltre la quale, con l'aumentare del reddito, la soddisfazione individuale inizia a divergere, aumentando meno che proporzionalmente. Oltre i 100mila dollari lordi annui si arriverebbe a un punto di stallo per cui ogni dollaro addizionale non porterebbe alcuna felicità addizionale. Tutte queste cose le riporta The Sunday Times che preannuncia peraltro l'arrivo di uno studio dell'Institute of Economic Affairs (IEA) in materia. Con dati alla mano relativi a 140 Paesi, il IEA giunge alla semplice conclusione che il benessere materiale è il miglior indicatore per misurare il livello generale di benessere e incoraggia il Governo a pensare a fare crescere il pil invece che lanciarsi in costose elucubrazioni. Secondo lo studio, un aumento del 20% del reddito, che sia a partire da 500 dollari o 50mila dollari, ha lo stesso effetto benefico sul livello di soddisfazione della gente. Va detto che il IEA e' un think tank di ispirazione liberista per cui dietro allo studio possiamo vedere un elegante attacco del pensiero conservatore classico contro il romanticismo di Cameron. A mio avviso queste argomentazioni, per quanto interessanti, hanno poco di scientifico. Tanto vale allora basarsi sul buon senso e l'osservazione empirica. Per quanto mi riguarda noto che, al di là del livello di materialità di un individuo, che varia da persona a persona, è un fatto che tutti concordano nel ritenere che il danaro non è tutto e che a volte porta più disgrazie che gioie. Varrebbe però a questo punto la pena di ragionare "a contrario" e osservare quanta infelicità ha portato questa recessione, specie tra vecchi pensionati o giovani senza lavoro. Ansia, stress, perfino suicidi in netto aumento dappertutto. Conclusione tutta personale: se e' possibile che una crescita dei redditi oltre una certa soglia non rende ancor più felici è un fatto che una diminuzione dei redditi, da qualsiasi livello essa giunga, rende quasi certamente più infelici…
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