Tempo pochi giorni e Boris Johnson sarà il nuovo Primo Ministro britannico. L’unica curiosità è scoprire con che margine vincerà sul rivale Jeremy Hunt. Quanti dei 160mila membri del partito conservatore abilitati a votare esprimeranno la loro preferenza. Una magra curiosità, dato che per il Paese culla della democrazia occidentale moderna non sarà certo un giorno glorioso. I membri del partito rappresentano lo 0,45% dell’elettorato britannico e probabilmente a eleggerlo sarà lo 0,35%. Ma le regole sono regole. Il premier in carica, Theresa May, si dimetterà mercoledi come preannunciato da tempo e il nuovo capo del partito diventerà automaticamente il nuovo Premier in carica. Le dimissioni della May non hanno infatti portato a elezioni anticipate dato che il leader laburista Jeremy Corbyn non è riuscito a sfiduciarla in Parlamento. Resta ora un’incognita da sciogliere: la probabilità che, con l’appoggio di un manipolo di conservatori “traditori” la Camera dei Comuni non voti la fiducia al nuovo premier, aprendo, questa volta sì, la strada a elezioni anticipate. Se i conservatori, anche quelli che odiano Boris con tutto il cuore, si tapperanno il naso e faranno muro, il nuovo Governo entrerà invece in carica.
Una compagnia di teatranti uscirà presto di scena e una nuova, guidata da un primo attore d’eccezione, un fuoriclasse della commedia dell’arte inglese, ne prenderà il posto. Sul fondo Johnson non ha un credo ideologico molto diverso da quello della May, dato che è un conservatore di centro. Potrà fare qualche nomina a effetto con ministri di diverso background etnico per dar prova di progressismo e fare qualche annuncio politico a effetto, come ridurre la tassa di registro sulle transazioni immobiliari, per rilanciare un mercato del mattone moribondo. Da bravo illusionista avrà qualche altra carta da tirare fuori dalla manica. Cambiano gli attori ma il copione resta sostanzialmente uguale. E sul fondo resta uguale anche sulla Brexit, dato che Bruxelles ha già firmato un accordo con la May, impegnando 27 Paesi membri e non vede perché, al cambiare di un Governo, peraltro composto dallo stesso partito, 27 Stati sovrani debbano rimettersi a riaprire le trattative solo perché Londra é più bella delle altre capitali e i tory hanno un inveterato complesso di superiorità sul resto del mondo.
Il fatto è che il mandato che riceverà Johnson dal proprio elettorato ha un aspetto formale profondamente diverso dal Governo May. Mentre la May ha giocato il tutto e per tutto per giungere a un accordo, cercando invano di farlo passare in Parlamento, con Boris i Tory giocano la carta del Jolly, per sparigliare completamente le regole. Johnson ha infatti messo in chiaro che, se non troverà una nuova forma di accordo con Bruxelles, porterà comunque il Regno Unito fuori dalla UE il 31 ottobre, ultima scadenza per la Brexit, per onorare il risultato del referendum del 2016. Sono mesi che tutti i politici, esperti, economisti, uomini d’affari nel possesso delle loro facoltà mentali hanno messo in chiaro che un’uscita dalla UE senza un accordo avrà conseguenze devastanti per Londra. Certo, non saranno neppure piacevoli per la UE, ma è come se si scontrassero frontalmente una 500 contro un Tir da 50 tonnellate. L’elemento di novità è che Boris, nella sua eccentricità e imprevedibilità, può essere capace di tutto, per cui a Bruxelles converrebbe, secondo la vulgata, scendere a patti per evitare un atto sconsiderato. A Londra circolano peraltro già voci di pourparler informali tra il team di Boris e Bruxelles secondo cui la UE sarebbe pronta a fare qualche concessione. Voci che sono tutte da confermare…
La mia convinzione è che con Boris Johnson ci sarà soltanto un cambio di tattica, condito da fuochi d’artificio ed effetti speciali d’ogni genere, per fare paura a Bruxelles e specialmente vendere agli elettori Brexiter la nuova narrativa del “Premier nerboruto” che fa la voce grossa. Nella sostanza, la realtà delle cose non può cambiare molto. Come sappiamo, Bruxelles si è detta da sempre pronta a discutere il documento sui rapporti futuri tra Londra e la UE, ma non disponibile a rinegoziare l’accordo di Brexit raggiunto con un Governo sovrano. Se i conservatori hanno delle beghe interne si tratta di un problema che devono risolvere tra loro e con il loro elettorato ma non devono scaricarlo su altri 27 Paesi che hanno operato in buona fede. A questo punto, due scenari a mio avviso sono davanti: il primo è che Boris il commediante e piacione riesca a mettere in atto una sceneggiata con Bruxelles tale da fare passare al Parlamento di Westminster il vecchio accordo della May con qualche modifica, in particolare sulla frontiera irlandese. Bruxelles in fondo ha interesse a che questa storia finisca al più presto e non è uno scenario da scartare. Anche perché Boris non ha alcuna diversa seria soluzione da proporre e ha soltanto un mese di operatività parlamentare prima del fatidico 31 ottobre, dato che tra 4 giorni i parlamentari andranno tutti in vacanza. Nel secondo scenario, il neo premier decide veramente di giocare a poker con la pistola sul tavolo fino alle 11 di sera del 31 ottobre senza battere ciglio per vedere come reagisce Bruxelles. A questo punto, dopo il folle referendum di David Cameron, ci troveremo per la seconda volta davanti a un Premier conservatore che decide il destino del proprio Paese al tavolo da gioco. Credo però che davanti a uno scenario del genere, i primi a perdere i nervi saranno gli inglesi, nella figura delle istituzioni, del mondo del business e della pubblica amministrazione che si ribelleranno alla corsa al suicidio. Se ciò si avverasse ci troveremmo davanti a un forte rischio di disordine sociale, che aprirebbe la strada a un periodo denso di incognite. Con una sommatoria esplosiva tra disordine interno e pessimi rapporti con l’esterno. Un Regno Unito fuori dalla UE che non paga i propri 40 miliardi di spese comunitarie scaricandole sugli altri membri, che rende incerta la vita di 3,5 milioni di residenti europei non avrà infatti un negoziato facile per i rapporti futuri con gli ex partner. E dovrà provare rapidamente ai propri concittadini che in un mondo sempre più caotico e volatile fuori dalla UE si sta meglio.
Vi e’ infine un ultimo scenario da non scartare. A detta unanime, non ci sono le condizioni materiali per modificare l’accordo con la UE, poiché dopo le vacanze estive il Parlamento ha meno di un mese per decidere una nuova proposta tutta da negoziare con Bruxelles in tempi strettissimi, peraltro con una commissione uscente. Dato che Johnson lo sa benissimo, a questo punto o spingerà il Paese a una Brexit dura, cercando di sospendere il Parlamento dato che questo ha messo in chiaro di non volere votare il “no deal”, o ha in mente qualcosa d’altro. Sospendere il Parlamento (con il consenso da ottenere dalla regina) non ha precedenti dai tempi di Carlo I che dopo un lungo braccio di ferro con i Comuni e una guerra civile fini decapitato. Molti osservatori non escludono quindi che Johnson stia preparandosi a un piano di emergenza per rinviare la scadenza contestualmente con la decisione di indire nuove elezioni. La mossa sarebbe abile dato che a fronte di un leader laburista in perdita verticale di consensi, Johnson potrebbe fare il pieno di voti e ottenere un mandato più ampio. I prossimi tre mesi saranno sull’ottovolante.