La quinta potenza industriale del mondo, peraltro destinata, secondo i fautori della Brexit, a un futuro ancor più radioso al di fuori della UE, nasconde un segreto imbarazzante. Oltre il 30% dei bambini inglesi, ossia circa 4,1 milioni, vive in uno stato di povertà relativa. Di questo totale, un nucleo duro di 3,7 milioni vive in povertà assoluta, ossia dispone di 2.3 sterline al giorno (2.60 euro) per mangiare. Secondo proiezioni del IFS, l’Institute of Fiscal Studies, il più prestigioso think thank di economia pubblica del Paese, se non si corre ai ripari, la cifra complessiva è destinata a salire a 5,1 milioni nei prossimi 5 anni. Secondo il Childhood Trust soltanto a Londra 700.000 bambini vivono al di sotto della soglia della povertà.
Il grido di allarme è stato lanciato in questi giorni dai media in seguito alla richiesta da parte della famosa attrice Emma Thomson della creazione di una authority che si occupi di povertà infantile. La Thomson è il volto noto del Children’s Future Foods Enquiry un movimento che raggruppa una serie di associazioni caritatevoli che chiede una decisa lotta alla povertà infantile. L’attrice giorni fa ha denunciato le “condizioni dickensiane” in cui si trovano milioni di bambini britannici e chiesto che il sussidio per il pasto scolastico giornaliero venga aumentato da 2.30 a 4 sterline per permettere ai bambini più sfavoriti di essere in condizione di studiare alla pari con gli altri compagni. Per dare un’idea è come se in ogni classe di 30 bambini, 9 bambini abbiano problemi di alimentazione. La Thomson si è peraltro scontrata col governo affermando che molte scuole scientemente mettono fuori uso i rubinetti di acqua potabile per costringere i bambini a comprarsi l’acqua in bottiglia (costo 60-90 pence) riducendo così il danaro disponibile per il cibo.
L’atteggiamento battagliero e un poco diffamatorio della Thomson (le scuole hanno l’obbligo di fornire gratuitamente l’acqua agli scolari e stupirebbe molto un atteggiamento da codice penale) affonda le radici in un crescente malcontento sociale. La povertà infantile aveva subito una riduzione durante l’era del New Labour di Tony Blair e Gordon Brown (1998-2009), quando il numero venne ridotto circa di mezzo milione. Da allora la miseria è tornata a salire, passando da 3,6 milioni nel 2010-11 a 4,1 milioni nel 2016-7. Il tracollo è avvenuto sulla scia della crisi del 2008, dell’austerità imposta dai successivi Governi conservatori a partire dal 2010, con la riduzione dei sussidi, la loro semplificazione con l’Universal Credit, che ha faticato a decollare creando ritardi nei pagamenti con effetti devastanti sui bilanci famigliari, oltre che da un impoverimento generale delle classi medie e basse. In effetti, circa il 25% dei bambini poveri vive in famiglie che lavorano e in cui evidentemente i redditi sono troppo miseri. Due terzi peraltro vivono in nuclei in cui uno solo dei due genitori è al lavoro. Per non tacere del flagello dei “single parents”, nuclei con un solo genitore (in massima parte donna) che sono uno dei principali fattori di povertà nel Regno Unito.
Inevitabilmente la povertà dei figli discende a cascata da quella dei genitori. E su questo fronte un altro fenomeno allarmante si sta facendo strada nel Regno Unito : la crescita delle Food Banks. Il Trussel Trust, una delle maggiori charity operanti nel settore, ha reso noto recentemente di avere distribuito nei 12 mesi conclusi lo scorso marzo 1,6 milioni di razioni alimentari, un’impennata di 20 volte rispetto ai 60mila del 2008 dopo la crisi finanziaria. La situazione è andata peggiorando esponenzialmente con un aumento verticale negli ultimi 5 anni quando le razioni erano ancora 300mila l’anno. Da un pugno di istituti caritatevoli nel 2009 ora il numero delle Food Banks è salito a 2mila. Segno che il settore privato si sta accollando sempre più quello che era compito dell’ambito pubblico. Una situazione che sta diventando insostenibile e che sta spingendo il Governo May, o almeno quello che resta di esso, a correre al più presto ai ripari.