La Brexit-Papocchio imposta da Theresa May al proprio Governo durante il meeting dei Chequers ha avuto come effetto quello di radicalizzare gli estremisti tra le file dei Tory sia sul fronte del leave che su quello del remain. Entrambi sostengono infatti che la proposta ridurrebbe sostanzialmente la sovranità nazionale e come tale deve essere bocciata. In estrema sintesi la proposta della May è di allineare il Regno Unito alla legislazione UE per prodotti industriali e agricoli mantenendo libertà di divergere e legiferare sui servizi che sono il punto forte del Paese. Oltre a concedere un certo potere alla Corte Europea di Giustizia nel risolvere le dispute con la UE. Per i remainers puri e duri, il fatto che su metà del proprio commercio Londra dovrà subire le direttive UE significa una perdita di sovranità rispetto alla situazione precedente, in cui Londra partecipava alla formulazione delle politiche europee che le si applicavano. Dunque tanto meglio restare nella UE. Costoro chiedono un secondo referendum post negoziato per porre la questione finale al pubblico nella speranza che la boccino e rimettano le lancette indietro a prima del giugno 2016, data del referendum. Per i leavers fanatici, la perdita di sovranità sul commercio in beni e le concessioni alla Corte di Giustizia equivalgono a una resa a Bruxelles e dunque a una Brexit abortita, contraria allo spirito referendario. Per cui, tanto meglio procedere a una Brexit netta e immediata, senza condizioni e senza periodi transitori di adattamento.
I Brexiters sono stati i più agguerriti nelle critiche, al punto che due pesi massimi del Governo hanno dato le dimissioni: il ministro per la Brexit David Davies e il ministro degli Esteri (Foreign Secretary) Boris Johnson hanno deciso di lasciare la scialuppa del Governo mostrando platealmente il loro dissenso. A giudicare dagli effetti del beau geste, Johnson ci ha visto giusto, dato che un recente sondaggio condotto dalla società demoscopica You Gov rivela che il 34% degli elettori pensa che egli sarebbe un migliore negoziatore sulla Brexit della May, a cui viene riconosciuto un misero sostegno del 16%. Nigel Farage, il leader dell’eurofobo partito UKIP, che era finito in naftalina dopo la sconfitta nelle ultime elezioni, ha visto la propria popolarità schizzare al 27%. Peraltro, solo l’11% dell’elettorato pensa che la proposta della May sia nell’interesse nazionale. Il linguaggio muscolare sta prendendo piede, tanto che il nuovo ministro per la Brexit, Dominic Raab, un Brexiter convinto, non ha escluso che il negoziato possa finire in un vicolo cieco e che Londra se ne possa andare senza versare i 39 miliardi di sterline di compensazione a Bruxelles a cui il Governo si era impegnato nella prima tornata negoziale dello scorso anno.
La posizione di Theresa May si sta facendo dunque sempre più difficile sul piano delle proposte politiche, anche se appare ancora relativamente solida sul piano del potere. In effetti, nel caso di un riuscito golpe dei Brexiter nei suoi confronti, una volta deposto il Primo ministro, il loro cammino sarebbe tutt’altro che agevole, dato che non si troverebbero con i numeri sufficienti in parlamento per passare la loro linea forzuta di abbandono della UE. Ma i Brexiter, che in parlamento rappresentano il 4o% dei deputati Tory, sul fronte del voto rappresentano il 60% delle preferenze dell’elettorato conservatore e dunque tengono in ostaggio il Governo, alzando sempre più la voce. Da notare che tra le fila laburiste ben il 35% degli elettori al referendum era per la Brexit. La tentazione di rivolgersi con toni populisti direttamente all’elettorato favorevole alla Brexit è forte.
Theresa May è sempre più costretta alle acrobazie. Da un lato gran parte del mondo delle imprese britannico ha alzato i toni, diffidandola da una Brexit pura e dura, che a loro dire porterebbe a danni incalcolabili all’economia del Paese. Dall’altro, l’ala radicale del partito continua a chiederle toni più nerboruti con Bruxelles, dando segno di fregarsene completamente semmai si profilasse all’orizzonte l’ipotesi di una Brexit brutale, con uscita completa e immediata dalla UE, che costringerebbe il commercio britannico alle regole minime del WTO, l’organizzazione mondiale del commercio. I Brexiter continuano a dare segno di spavalderia, in buona parte per chiamare un eventuale bluff di Bruxelles, ma in buona parte anche a causa di uno spirito garibaldino e incosciente alimentato da una giuliva incompetenza e incoscienza in materia economica. La povera May deve peraltro fare fronte all’ostacolo maggiore della UE, che ha già messo in chiaro di non poter accettare una proposta che permetta a Londra di ottenere uno statuto à la carte che le conceda le tariffe più adatte a seconda dei settori economici interessati. Bruxelles ha ricordato peraltro a Londra la natura indivisibile delle 4 libertà, tra cui, prima di tutte, quella del movimento delle persone entro la UE. Un altro grande scoglio, considerando che lo stesso sondaggio di You Gov evidenzia chiaramente che il 34% dell’elettorato sarebbe a favore di un partito che sostenga una Brexit senza condizioni e circa un quarto voterebbe per un partito anti-immigrati e anti-islamico. Insomma tradotto in soldoni: tanto peggio tanto meglio….