La crescente prospettiva di una hard Brexit , ossia di un’uscita del Regno Unito dalla UE senza alcun accordo, ha creato forte preoccupazione nel mondo del business britannico. Un allarme partito alla spicciolata, con la sola voce di Airbus, si sta trasformando in queste ore in un coro sempre più nutrito e fragoroso di voci allarmate. Dopo che Airbus ha minacciato di fare le valigie e spostare le proprie attività produttive altrove se non si delineeranno entro tempi brevi i contorni del futuro accordo, è stato il turno di Bmw di mettere in guardia dal fatto che la creazione di una frontiera , < renderà non più conveniente > l’attività produttiva della società nel Regno Unito. Sulla stessa linea si sono esposte sucessivamente la Siemens e la Honda. A cui si è aggiunta la voce potente della SMMT, l’organizzazione che riunisce i produttori di auto britannici e che conta ben 860 mila addetti. Sommando i dipendenti diretti e indiretti di Airbus, le lamentele provengono da aziende che pesano per circa un milione di addetti. In estrema sintesi , le imprese vogliono che dopo la Brexit il Regno Unito mantenga un accordo commerciale forte su beni e servizi sul genere di un’unione doganale. In mancanza di un’intesa di tal genere, le aziende, specialmente quelle straniere che hanno investito pensando che il Regno Unito fosse parte integrante della UE, rischiano forti danni economici.
Il mondo del business finora è stato particolarmente silente per non volere probabilmente dare adito a politicizzazioni di eventuali prese di posizione contro la Brexit. In campagna elettorale la grande maggioranza del mondo del business era contro la Brexit. Da quando però i Brexiter hanno alzato la testa silurando virtualmente la possibilità da parte del Parlamento di bloccare un accordo finale visto contro l’interesse nazionale, le voci di chi con tono di sfida promuove una Brexit pura e dura sono andate crescendo. Al punto che gli ultimi scambi tra mondo del business e personaggi ultra Brexiter come Boris Johnson, ministro degli Esteri, si sono fatti sempre più aspri. Johnson in un incontro pubblico a porte chiuse avrebbe dichiarato recentemente che il business < vada a farsi fottere > davanti a chi gli faceva notare le crescenti preoccupazioni del pianeta imprese . Un atteggiamento che di certo non getta acqua sul fuoco…
Al di là delle polemiche verbali vi sono chiari segnali di movimento con contromisure pratiche. Buona parte delle aziende a cui una Brexit dura creerebbe danno hanno già in essere piani di contingenza. Tantissimi, davanti alla situazione di incertezza imperante, si sono più semplicemente astenuti dal prendere nuove iniziative di progettazione e investimento. Secondo la società di consulenza Baker & McKenzie il 46% delle società europee operanti in Gran Bretagna hanno ridotto gli investimenti nei due anni intercorsi dal voto della Brexit a oggi. Quello che gli oltranzisti della Brexit considerano un bluff da parte del mondo del business, si sta purtroppo tramutando in una realtà. Le aziende hanno bisogno di pianificare e lo stato di incertezza in cui si trovano ha ormai superato il limite della tolleranza. Fa peraltro specie vedere che le aziende si sveglino soltanto ora, considerando che si tratta di un tema per loro cruciale. Eccesso di timidità iniziale e paura di essere messe alla gogna dai populisti, forse hanno giocato un ruolo. Ora, in vista di un importante vertice UE il 6 luglio le aziende hanno alzato il tiro forse anche per sostenere l’ipotesi di Brexit morbida che il Governo May ha sempre accarezzato ma è stato costretto ad accantonare a varie riprese davanti all’incalzare dei Brexiter puri e duri. L’ora della resa dei conti tra le due anime del Governo si avvicina.