L’economia britannica dà sempre più visibili segnali di rallentamento, proprio quando giungono manifestazioni di rafforzamento dalle economie UE. I dati del primo trimestre del 2018, che mettono a segno una crescita del pil dello 0,1% sono infatti i peggiori da 5 anni. A trascinare la crescita verso il basso è stata la spesa delle famiglie, che ha registrato il punto più basso da 3 anni, con un magro progresso del 0,2%. Se i servizi hanno sostenuto la crescita con un +0,3%, pessime notizie sono giunte dal settore delle costruzioni, in piena recessione con un calo del 2,7% e delle imprese, con un regresso degli investimenti del 0,2%. Alcuni hanno fatto notare che il rigido inverno, protrattosi fino all’inizio della primavera ha contribuito al peggioramento. La morsa primaverile proveniente da Russia e Scandinavia prese sui giornali il buffo nomignolo di The Beast from the East. Per quanto “bestiale” il gelo non è stato però fatale e la maggioranza degli economisti conviene nel rilevare che il clima avverso spiega solo una piccola parte della storia.
A questo punto non sorprende che la Banca d’Inghilterra, che aveva aumentato i tassi di un quarto di punto allo 0,5% abbia deciso di soprassedere e rinviare sine die qualsiasi nuovo ritocco al rialzo. E non sono certo stati rincuoranti le osservazioni del Governatore che ha recentemente dichiarato come dalla Brexit a oggi la famiglia media britannica ha perso 900 sterline (circa 1000 euro). La cifra si confronta con le previsioni emesse nel giugno del 2016 poco prima del referendum. Per la famiglia media britannica, fortemente indebitata, si tratta di una somma ragguardevole. Causa principale del peggioramento l’aumento dell’inflazione causata dal rincaro delle merci importate dovuto al calo della sterlina sull’euro del 15%.
Il treno che corre fiducioso verso il Sol dell’Avvenire della Brexit va così sempre più a sussulti, prima ancora che l’addio alla UE si materializzi. Le cattive notizie purtroppo non sono confinate alle aride statistiche dell’economia nazionale, ma sono accompagnate regolarmente da annunci deprimenti. Pochi giorni fa Niall Dickson, responsabile della Confederazione del NHS, il sistema sanitario britannico, ha annunciato che, per fare fronte alle future emergenze della Sanità, ogni cittadino contribuente dovrebbe spendere 2000 sterline per evitare il tracollo. Dickson dice che nei prossimi 15 anni la popolazione di eta’ superiore ai 65 anni salirà di 4 milioni, con una pressione enorme sul sistema ospedaliero che vedrebbe crescere i ricoveri del 40% all’anno a causa di malattie croniche.
Intanto, pessime notizie giungono anche dal settore dei trasporti, con la prima ri-nazionalizzazione del dopoguerra operata dal Governo conservatore, per 30 anni araldo delle privatizzazioni. Travolta dalle perdite e da problemi di gestione, la East Coast Mainline, joint venture al 90% tra Stagecoach e al 10% Virgin, ha alzato bandiera bianca per finire sotto l’ala del settore pubblico a partire dal 24 giugno, con la nuova etichetta di London North Eastern Railway.
Infine le prospettive. A giugno il Governo dovrà decidere quale forma di associazione commerciale futura vorrà avere con la UE. Le proposte sono varie. Le colombe vogliono mantenere una sorta di Unione doganale che minimizzi le frizioni specie in Nord Irlanda dove la questione ha assunto una dimensione politica importante. Ma l’ala pura e dura dei fautori della Brexit che chiede un taglio netto per evitare (giustamente a loro vedere) che Londra incassi regole da Bruxelles senza potere più partecipare alla loro formazione vuole un taglio netto. A loro avviso l’innovazione tecnologica e un a serie di astuti accorgimenti, triangolando gli scambi con altri Paesi o sponsor commerciali, dovrebbero risolvere l’impasse. Peccato che il responsabile delle dogane, Jon Thompson, il più alto funzionario pubblico del settore, ha detto che nelle condizioni commerciali attuali con 200 milioni di beni scambiati ogni anno e con le tecnologie attuali i costi potrebbero situarsi tra i 17 e i 20 miliardi di sterline rispetto ai 3,5 miliardi dello schema più simile alla Unione Doganale. E ciò prima ancora di sentire il parere della UE che nella vicenda è inevitabilmente coinvolta come controparte.
Insomma, continuano a emergere costi su costi in parte a causa della congiuntura e in parte per tener fede alla crociata della Brexit. E’ infatti certo ormai che il conto della uscita dalla UE, già negoziato con Bruxelles e volto a rimborsare gli altri membri dalle mancate entrate per coprire programmi su cui Londra si era impegnata, assomma a 39 miliardi che Londra resti nella Unione doganale o volga completamente le spalle alla UE. Quando si dice essere pronti a tutto per questioni di principio…