Chi si attendeva uno scatto in avanti dei laburisti e un crollo dei conservatori alle elezioni locali del 3 maggio è rimasto fortemente deluso. Le faide che dividono i Tory sulla Brexit e i recenti scandali sugli immigrati del Commonwealth che si sono visti per un attimo spogliati dei diritti di cittadinanza, non hanno inciso sulle sorti elettorali del partito di Governo. Anche perché la continua ambiguità di Corbyn sulla Brexit e i recenti scandali di anti-semitismo nel Labour con imbarazzanti ammissioni e scuse del leader di un partito che aveva attratto nelle proprie fila migliaia di ebrei, ora offesi e in crisi di identità, paiono avere bloccato la marcia trionfale della paleo-sinistra britannica, lasciando intravvedere la possibilità che essa stia esaurendo la propria spinta propulsiva. Così il maatch tra i due grandi partiti si e’ concluso con una parità di consensi al 35% ciascuno, senza lodi e senza onori. Il partito della May ha tenuto alcune importanti circoscrizioni come Barnet e Westminster a Londra, i laburisti hanno difeso le proprie e hanno vinto la partita per il sindaco di Sheffield, Dan Jarvis. Complessivamente i Tory hanno perso 33 seggi a 1332 e i laburisti ne hanno guadagnati 77 a quota 2350 ma sono piccole variazioni del sismografo. I Tory, che hanno ceduto un poco di terreno, possono essere contenti di avere difeso le posizioni e soprattutto sgominato l’estrema destra dell’UKIP fondato da Nigel Farage e ora figlio di nessuno a causa di una serie di scandali ai vertici. Il partito eurofobo ha perso 123 seggi mantenendone soltanto 3. La tenuta dei Tory si è subito prestata a strumentalizzazioni di Brexiters come Boris Johnson, secondo cui il buon voto è dovuto al fatto che la ala dei Tory che egli rappresenta ha messo in chiaro che la fuoruscita del Regno Unito deve essere totale senza alcuna concessione alla Unione Doganale UE. In effetti i tory hanno registrato il migliore risultato alle elezioni locali rispetto al 2012, 2014 e 2016.
I liberaldemocratici hanno guadagnato sia in voti col 16% sia in seggi prendendone 75 (tra cui Richmond e Kingston a Londra) ma il loro successo è dovuto principalmente al fatto che hanno fama di essere buoni amministratori e non tanto a una impennata dovuta esclusivamente a un sostegno dei Remainers, dato che il partito è il più filoeuropeo del Paese. Al contrario, poiché alle amministrative possono votare gli europei residenti e che questi sono circa 3 milioni, se anche una piccola percentuale avesse votato i liberaldemocratici, i risultati si sarebbero visti in modo ben più marcato. Segno che gli europei non hanno considerato queste elezioni sufficientemente importanti per mandare un messaggio a Westminster e/o hanno semplicemente deciso di gettare la spugna e non combattere dato che comunque sono esclusi dalle politiche.
Risultato: niente i importante da segnalare. La politica britannica resta modesta, la nave va verso la Brexit per forza d’inerzia e, a meno di rivolgimenti clamorosi in politica o un peggioramento netto dell’economia che potrebbe indurre alcuni a ripensare sui rischi di una uscita, sono sempre i 60 deputati Tory eurofobi e motivati sostenuti da metà dell’elettorato a tenere in mano il gioco. La May per ora non ha d’altronde mostrato alcuna intenzione di affrontarli.