Theresa May ha voglia a rassicurare gli inglesi dicendo che il 2018 sarà l’anno di cui andranno fieri perché verranno sciolti i nodi della Brexit dopo un fattivo 2017, con il superamento della prima ondata di negoziati. Nel 2017 ciò che è avvenuto, alla fine dei conti, dopo una commedia durata poco più di un semestre, è l’accettazione, su quasi tutta la linea delle condizioni poste dalla UE sul pagamento del divorzio, lo status dei cittadini europei in UK e degli inglesi in UE e quello della frontiera dell’Irlanda del Nord. Quest’ultima, peraltro, resta avvolta da una nube di ambiguità, aperta a diverse interpretazioni fino a che la Brexit non verrà completamente finalizzata su tutta la linea.
Il 2018 sarà piuttosto quello delle dolenti note, quello in cui verranno negoziate le grandi linee del futuro rapporto commerciale con la UE. Sarà l’anno delle illusioni infrante, della polemica e del rancore verso gli Europei. Gli inglesi continuano infatti a illudersi di potere negoziare un trattato che dia loro la possibilità di attingere il meglio dal mercato europeo ottenendo una libertà totale sul piano della sovranità nazionale. Si parla di un accordo Canada plus plus, sulla falsariga di quello che ha recentemente concluso Bruxelles con il Paese americano. Dove il primo plus riguarda il commercio dei beni, campo in cui il Regno Unito ha relativamente poco da commerciare, mentre il secondo plus, quello che ai canadesi non è stato concesso , riguarda i servizi, settore in cui gli inglesi hanno enormi interessi e che nella UE ha come controparte la libera circolazione delle persone.
Se Londra si illude di ottenere quello di cui godono gli altri Paesi UE senza concedere alcuna controparte, dimostrando che un Paese puo’ uscire dalla UE e mantenere tutto il meglio del mercato unico, vuol dire che e dirigere il gioco è un gruppo di ingenui o di politici in malafede, costretti al gioco delle tre tavolette per tenere a bada un elettorato rancoroso e confuso. Ironia della sorte vuole peraltro che nel 2017 il tanto temuto nodo dell’immigrazione, causa principale della Brexit è andato cambiando completamente i connotati, aprendo nuovi interrogativi sull’opportuntà di questo sforzo negoziale titanico. Gli europei hanno infatti smesso di arrivare in UK mentre altri hanno iniziato a lasciare il Paese, creando forti vulnerabilità in settori come il sistema sanitario, l’agricoltura, l’accademia e la ristorazione, mettendo a nudo per difetto l’importanza del contributo della mano d’opera qualificata dei cugini d’Oltremanica.
L’altra grande illusione, che costituisce l’altra faccia del complesso di superiorità dei conservatori al Governo, è che non appena sarà liberata dal giogo di Bruxelles Londra si troverà davanti una coda di Paesi questuanti, bramosi di concludere accordi commerciali con una nazione, la loro, che ha così tanto da dare al resto dell’economia mondiale. Non si tratterebbe peraltro di beni, che sono ridotti al lumicino, ma di servizi, che sono però un settore fortemente volatile, dato che è sottoposto ai capricci della politica, succube delle costrizioni giuridiche e dai minacciosi mutamenti della tecnologia.
Peraltro, è noto che Londra è ancora ben lontana dall’essersi dotata di un personale sufficientemente numeroso e qualificato per negoziare ai quattro punti cardinali. I nuovi negoziati col resto del mondo dureranno anni, come è sempre il caso per negoziati del genere, mentre nei rapporti con la UE, che pesa per quasi il 50% dell’export britannico, per quanto ci sia un periodo interinale di assestamento, successivo al marzo 2019, quando scatterà la ghigliottina della Brexit, personalmente dubito che sarà sufficiente a garantire un’uscita morbida dalla UE. Intanto l’economia non brilla, gli inglesi restano indebitati, i salari reali sono scesi, l’inflazione causata dal calo della sterlina erode il potere d’acquisto della gente, il mercato immobiliare è fermo e le cose migliori che possiamo intravvedere sono quelle avvolte dall’incertezza, aperte a qualsiasi interpretazione.
Un diplomatico grande esperto di temi commerciali, che ha negoziato numerosi trattati in ambito europeo per conto di un Paese extra UE mi conferma peraltro che in Europa il peso della UE è cosi forte che la potenza dell’economia dell’Unione costringe comunque gli altri Paesi europei ad adattarsi, per la forza stessa del suo campo gravitazionale. Esattamente quanto temevano gli anti-Brexit: ossia una Londra costretta a subire le decisioni europee dal di fuori, senza più poterle influenzare dall’interno. Stiamo a vedere a che porteranno i negoziati, ma la mia sensazione è che il Governo britannico sarà costretto a vendere al pubblico altre fumose acrobazie verbali per occultare i miseri risultati che verranno da una scelta che ogni giorno che passa si rivela sempre più dannosa, non fosse per l’enorme spreco di energia impiegato finora e tutto quello che dovrà essere impiegato nel futuro a venire. Tanto piu’ che dopo un 2018 faticoso e tormentato le luci di uscita dal tunnel non saranno per nulla in vista.