I negoziati sulla Brexit tra Londra e Bruxelles languono. Lo stallo sta causando un forte aumento di pressione nel partito conservatore di Governo. La destra eurofoba ha infatti iniziato ad alzare la voce, mettendo sempre più in chiaro che, in caso non ci si riuscisse ad accordare, il Governo deve essere pronto ad abbandonare il tavolo delle trattative, preparandosi a una Brexit pura e dura. Per questo motivo, secondo gli eurofobi, per provare che non scherza, Londra deve iniziare già da ora a investire centinaia di milioni di sterline per creare un proprio sistema doganale funzionale dal marzo 2019 data formale della Brexit. La linea del Governo May, finora, è stata quella di giungere a una soluzione negoziata, con uno scivolo di 2 anni dopo la data della Brexit, per garantire una transizione morbida verso un nuovo regime commerciale. Philip Hammond, il Cancelliere responsabile delle finanze del Paese, ha peraltro fatto capire in varie sedi che, se gli anni di adattamento post Brexit diventassero tre (fino al 2022), sarebbe ancor meglio, dato che le incognite da risolvere sono moltissime.
La visione divergente sui tempi della Brexit si è polarizzata fortemente nell’ultimo mese e si è sempre più personificata in due uomini simbolo che stanno al Governo: Hammond, capofila dei moderati e Boris Johnson, ministro degli Esteri, patrono degli oltranzisti. Johnson non ha mancato di farsi notare con scritti su e interviste a giornali di destra nei momenti meno opportuni (poco prima della Conferenza del partito a Manchester e poco dopo il discorso di Firenze di Theresa May) tagliando l’erba sotto i piedi al Primo Ministro. I toni e le modalità delle uscite di Johnson che scalpita davanti allo scivolo di due anni (non deve passare un minuto in più ha detto) hanno scaldato il clima nel partito. I moderati hanno chiesto (alcuni addirittura pubblicamente) che la May cacciasse Johnson dal Governo per indisciplina. La risposta della destra eurofoba non è tardata e, negli ultimi giorni, sono state sempre più frequenti le richieste di dimissioni di Hammond, accusato di remare contro e procrastinare, fino a soffocare la Brexit votata legittimamente dal popolo britannico.
Il Governo May è dilaniato. I Brexiter sono infatti sempre più nervosi, perché temono che un peggioramento dell’economia rafforzerebbe i temporeggiamenti di Hammond depotenziando la Brexit. Davanti a un passo falso della May, i coltelli sarebbero pronti ad affondare nelle carni dei moderati. Ma, ipotizzando per assurdo un golpe della destra, con a capo Boris Johnson come Premier, ci troveremmo di fronte a una nuova dinamica improntata all’ottimismo che faciliterebbe la Brexit? Il rischio è opposto. Un arrivo di Johnson e della destra peggiorerebbe i rapporti con Bruxelles immediatamente e porterebbe a una rivolta dei moderati Tory eurofili che, va ricordato, in parlamento sono in maggioranza. Una guerra civile tra Tory diverrebbe inevitabile e la strada verrebbe aperta a nuove elezioni, alla vittoria dei laburisti di Jeremy Corbyn che, va ricordato, sono di profonda ispirazione marxista. Probabilmente Corbyn ammorbidirebbe i toni verso la UE ma in sostanza rispetterebbe, come ha messo in chiaro, il verdetto del referendum. Al massimo, potrebbe concedere un secondo referendum una volta che un accordo negoziale sulla Brexit fosse raggiunto.
Come si può notare nel precedente articolo (Breve promemoria degli schieramenti della Brexit) la situazione in termini di rapporti di forza politici è estremamente intricata: i Tories, che in parlamento sono in maggioranza a favore della permanenza nella UE, sono costretti a gestire la Brexit, dato che il 60% dei loro elettori la vuole. I parlamentari laburisti, che in stragrande maggioranza sono contro la Brexit, sostenuti da un elettorato al 70% contro, si trovano con una classe dirigente che pensa a un ritorno al passato, con una sorta di Socialismo in un solo Paese come soluzione ai problemi britannici, rispetto alla ricerca di un modello solidarista cristian-socialdemocratico all’Europea. In queste condizioni di asimmetrie di rappresentanze tra governanti e governati e di confusioni sulla linea politica dei partiti non possiamo nutrire molte illusioni su un miglioramento del clima futuro.